La Diocesi di Roraima, nell’estremo Nord del Brasile, con i suoi 230mila chilometri quadrati di estensione, copre tutto il territorio dell’omonimo Stato brasiliano. Si tratta di una grande superficie, pari per estensione a tutta la Romania, caratterizzata al suo interno da più volti e sfaccettature territoriali, sociali, etniche ed economiche.
Spiccano alcune peculiarità che caratterizzano il territorio: pur essendo la più estesa del Brasile, la Diocesi conta una popolazione di soli 550.00 abitanti. Quasi l’11% di tale popolazione è costituito da gruppi etnici autoctoni, suddivisi in dodici popoli indigeni con lingue e culture proprie.
La Capitale Boa Vista, situata sul lato occidentale del Rio Branco, a 220 km dal confine con il Venezuela, si è caratterizzata come “l’isola felice”, con forte presenza di classi medie e livelli di criminalità e insicurezza sociale sicuramente inferiori rispetto a quelli registrati presso altre realtà metropolitane brasiliane.
In questo particolare territorio, nel giro di pochi anni, si sono riversate due grandi emergenze sociali e umanitarie: l’arrivo in massa dei migranti dal Venezuela, a causa della forte crisi economico-finanziaria e politica che ha colpito il vicino Paese, e la pandemia di COVID b -19, che ha determinato ulteriori effetti sociali, di forte entità. A tale situazione va, comunque, affiancata la persistenza di varie problematiche di sacche di povertà ed esclusione sociale, che caratterizzano la condizione di alcune popolazioni native e le zone periferiche della Diocesi.
La migrazione dei venezuelani verso Roraima è in atto da tempo, anche se dal 2017 in poi si è andata notevolmente intensificando. La porta di ingresso allo Stato di Roraima è costituita dalla città di Pacaraima, posta direttamente sul confine con il Venezuela. Si stimano oltre 55mila arrivi all’anno, dei quali circa 30mila rimangono a Boa Vista mentre gli altri si spingono verso altri territori del Brasile.
I rifugiati dal Venezuela costituiscono quasi il 10% della popolazione della Capitale dello Stato di Roraima, sono spinti verso il Brasile dalla fame, dal bisogno di accedere alla sanità, dalla necessità di trovare un lavoro.
Nonostante la frontiera sia stata chiusa il 17 marzo 2020 a causa del COVID-19, secondo le disposizioni governative del Brasile e del Venezuela, la situazione di immigrati e rifugiati non è cambiata. La prima necessità è quella dell’alloggio: una quota minoritaria trova accoglienza negli abrigos -rifugi – dei militari, mentre la grande maggioranza si colloca altrove, nella maggioranza dei casi nelle strade e nelle piazze.
Anche chi vive in affitto sperimenta ogni giorno situazioni di precarietà, a causa del reddito disponibile che non è più sufficiente a rispondere adeguatamente alle esigenze della vita quotidiana, soprattutto, a causa dell’impennata al rialzo che i prezzi dei beni di consumo hanno subito negli ultimi mesi. Il costo della vita a Roraima è già alto di per sé, poiché lo Stato importa la quasi totalità dei prodotti alimentari dagli altri stati della Federazione.
La maggior parte dei migranti venezuelani vive nell’informalità e spesso è sfruttata come manodopera a buon mercato. Molti migranti entrano nei circuiti dell’illegalità legati ai gruppi criminali, brasiliani e non, che si occupano, soprattutto, del traffico della droga.
Dal punto di vista ecclesiale, la Diocesi conta sulla presenza del Vescovo dom Mário Antônio Da Silva, che è anche vicepresidente della Conferenza dei vescovi brasiliani -CNBB – e Presidente della Caritas nazionale del Brasile.
La Caritas diocesana è diretta da Don Lucio Nicoletto, missionario Fidei Donum della Diocesi di Padova, che da un anno è anche Vicario generale della Diocesi amazzonica.
La testimonianza di don Lucio è preziosa per comprendere meglio gli ultimi sviluppi della pandemia nel contesto territoriale di Roraima che, come altre città del Brasile, risente dell’assenza di politiche di coordinamento sanitario da parte del Governo centrale del Brasile, notoriamente schierato su posizioni negazioniste, con gravi effetti sul livello della diffusione e delle conseguenze letali del virus.
Sul tema del COVID – 19, Nicoletto non usa mezzi termini: “Della situazione qui, nella Regione Amazzonica, se ne sta parlando da tempo, vuoi per la mancanza di un Governo che abbia le caratteristiche per definirsi tale, vuoi per la confusione che si è generata tra la gente fin dall’inizio dell’emergenza. Dall’altro canto, davanti a un Presidente che da alcune indicazioni o non né propone alcuna ai governatori dei singoli stati che a loro volta impartiscono ordini contrari, agli impresari che invitano a fare come se niente fosse, altrimenti l’economia potrebbe rimetterci in modo grave, soprattutto quella dei loro portafogli chiaramente, chi ne soffre è sicuramente la vita e la piccola economia della povera gente.”
L’emergenza sanitaria è dunque acuita da quella sociale.
“Il Covid sta creando un clima di grosse divisioni, tensioni, contrasti sociali e politici. Anche all’interno delle nostre comunità, tra le famiglie che frequentano le parrocchie. Qui a Roraima il Governo federale ha anche stanziato parecchi soldi per l’emergenza, per medicinali, ospedali da campo, in misure igienico-sanitarie, sia per la popolazione locale che per il popolo dei migranti venezuelani. Purtroppo, la corruzione del sistema politico locale, vera pandemia a cui sembra non esserci vaccino, ha messo in ginocchio la popolazione che ha dovuto accontentarsi che l’Ospedale da campo venisse aperto dopo le forti pressioni perpetrate dalla Chiesa cattolica, associazioni, movimenti vari, solo dopo tre mesi da quando è stato iniziato. Nei primi tre mesi di pandemia ha funzionato solo l’Ospedale generale dello Stato, che si trova nella Capitale. Una struttura di qualche sollievo e di speranza per il popolo della città sicuramente, ma che ha lasciato nella disperazione totale il resto della popolazione di Roraima, che abita nelle zone rurali, a 500, 600 chilometri da Boa Vista, con grandi, enormi difficoltà di spostamento a causa della mancanza di strade e infrastrutture. Fino ad oggi può avere accesso all’ospedalizzazione solo chi ha bisogno di essere intubato; gli altri, quando va bene, vengono invitati a rimanere a casa, fornendogli la profilassi di prassi dai medici del Pronto Soccorso. Al momento attuale, nello Stato di Roraima, su una popolazione di 600 mila abitanti abbiamo avuto 27 mila contagiati e 400 morti, una percentuale per abitante maggiore certamente rispetto a quella registrata in Italia.”
Tuttavia, l’emergenza provocata dal COVID – 19 si intreccia anche con la situazione dei migranti venezuelani.
“A Boa Vista sono stati allestiti rifugi per le persone migranti; attualmente la popolazione che si trova nella Capitale si aggira intorno alle 6200 persone; è, comunque, una cifra che non arriva neppure al 10% di questo numeroso gruppo, che riceve l’aiuto dal Governo Federale. Secondo le stime dell’OIM e dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, sono più di 2500 le persone che vivono in sette campi spontanei e in altrettanti spazi concessi da privati. Di questi, il 73% si improvvisa venditore ambulante; ma a causa del COVID-19, sono proprio coloro che presentano maggiori difficoltà di sopravvivenza. Sappiamo che sono state 25 le persone infettate, che vivono in questi campi di fortuna. Il dato genera molta preoccupazione, soprattutto per la grande concentrazione di persone a rischio di ulteriore contagio, che vivono insieme in spazi molto ristretti.”
La Chiesa cerca di fare quello che è in assoluto possibile mettere in campo.
“Come Diocesi di Roraima siamo impegnati con la Caritas locale e nazionale nella raccolta e distribuzione di generi alimentari di prima necessità, vestiti e medicinali e materiali di protezione sanitaria, in genere. Dal maggio scorso abbiamo già raccolto e distribuito più di 1200 quintali di alimenti, in particolare, poiché la fame, come credo un po’ dappertutto, ha già cominciato a battere alla porta di tantissime famiglie. Siamo in contatto permanente anche con la Caritas italiana, che ha accettato di promuovere con noi due microprogetti e uno più consistente sempre nell’ambito dell’emergenza alimentare e nella promozione di progetto di microcredito che possano incentivare in questo momento l’agricoltura familiare e i piccoli artigiani. L’impegno, pari a 30mila Euro, è rivolto a raggiungere circa 2000 famiglie vulnerabili, che vivono nella periferia della città di Boa Vista. Forniamo loro ceste di alimenti, prodotti per l’igiene personale e sanitaria per la profilassi contro il COVID-19. Nella maggior parte dei casi si tratta di famiglie di immigrati venezuelani, di popolazioni di nativi e di altre minoranze etniche che, a motivo della loro posizione fiscale ed anagrafica non ancora definita per le lentezze burocratiche, non hanno potuto aver accesso ai programmi di aiuto nazionale previsti in questo tempo di pandemia.”
Il futuro non si presenta roseo: “Fino ad ora, grazie a Dio, siamo riusciti a sopperire alle necessità primarie della maggior parte delle famiglie che ci hanno chiesto aiuto. Per fortuna non siamo stati gli unici a muoverci in questo senso. Purtroppo, dobbiamo dire che il peggio deve ancora venire. Quando, per esempio, riapriranno le frontiere con il Venezuela, che sono chiuse da diversi mesi, ci sarà già una marea di venezuelani che le attraverseranno, sperando di fuggire dalla situazione della loro terra che, in questi mesi di pandemia, non ha fatto altro che peggiorare, ma ovviamente nessuno ne ha parlato. D’altronde, l’argomento pandemia è diventato un ottimo alibi in ogni parte del mondo per quanti hanno approfittato della confusione generale per portare avanti i propri interessi, ovviamente a scapito sempre dei più deboli.”
di Walter Nanni, Caritas Italiana
Fonte: Insieme per gli ultimi