L’esortazione apostolica postsinodale di papa Francesco si articola in quattro sogni, che non sono una fuga dal reale, ma la volontà di immaginare un’Amazzonia – ma non solo – socialmente più giusta e fraterna, culturalmente rispettata nelle sue diversità, integralmente ecologica, con una Chiesa dal volto amazzonico, alleata delle popolazioni originarie, dalla parte dei poveri.
Papa Francesco auspica che il “buen vivir” dei popoli originari dell’Amazzonia diventi giustizia sociale; che il grido dei poveri trovi ascolto; che si chiamino per nome le politiche dissennate di alcuni Stati e soggetti economici: “ingiustizia e crimine” (QA 14). Il papa ammette che a volte i missionari si sono comportati più come conquistatori che come discepoli-missionari di Cristo. Ma ricorda anche il lavoro di quanti si sono mantenuti fedeli al Vangelo, e il sacrifico di tanti religiosi e religiose, preti e laici, che hanno difeso gli indigeni da assalitori e profittatori.
IL SOGNO SOCIALE
I popoli originari, per il loro stretto rapporto con la natura che li circonda, vedono i rapporti umani in stretta relazione: “Non c’è posto per l’idea di un individuo distaccato dalla comunità e dal territorio” (QA 20). Questi popoli ci insegnano un forte senso comunitario, di condivisione e solidarietà, ribaltando il paradigma coloniale dell’Occidente che avvicinava l’altro solo per civilizzarlo o redimerlo dalla sua condizione di sottosviluppato, selvaggio, primitivo.
L’antropologia da tempo ha mutato la sua missione, da avanguardia dell’Occidente, io-giudicante, quasi un rimorchio del colonialismo, a ricercatrice di alternative, di culture, di tradizioni sconosciute o dimenticate in Occidente. La Chiesa deve stare a fianco dei poveri, “per trovare nuove forme di comunione e di lotta” (QA 26), dialogando anzitutto con gli ultimi, i più poveri, che vanno ascoltati e considerati protagonisti del loro “buon vivere” per se stessi e i loro discendenti.
IL SOGNO CULTURALE
Nel sogno culturale la dimensione antropologica si fa più evidente nell’invito a non considerare questi popoli come selvaggi, ma eredi di antiche civiltà. Inoltre, nella molteplicità delle culture: lungo i fiumi, attorno ai lagni, nella foresta ecc. Tutti sono portatori di culture fortemente legate all’ambiente, risorsa economica e spirituale della loro vita. Lo sradicamento dai loro territori per andare ad occupare le periferie o i marciapiedi delle città, in situazioni di miseria, porta inevitabilmente alla perdita di identità, all’interruzione di antiche tradizioni, al blocco della trasmissione di saggezze ancestrali che hanno attraversato i secoli, infine alla morte di tante culture. La città si trasforma nel cimitero delle culture amazzoniche.
Un grosso cambiamento dell’antropologia (cristiana) si registra nell’affermazione che “attraverso un territorio e le sue caratteristiche Dio si manifesta, riflette qualcosa della sua inesauribile bellezza. Pertanto, i diversi gruppi, in una sintesi vitale con l’ambiente circostante, sviluppano una forma peculiare di saggezza. Quanti osserviamo dall’esterno dovremmo evitare generalizzazioni ingiuste, discorsi semplicistici o conclusioni tratte solo a partire dalle nostre strutture mentali ed esperienze” (QA 32).
È un invito a tenere puliti i filtri nella ricerca antropologica, per cercare di comprendere più che spiegare la cultura degli altri. Francesco sembra rivolgersi non solo all’Amazzonia quando ricorda che la visione consumistica dell’essere umano porta all’omogeneizzazione delle culture, in particolare dei giovani, per manipolarli meglio. Per contrastare questa dinamica, occorre custodire, “farsi carico delle radici, lasciare che gli anziani facciano lunghe narrazioni e che i giovani tornino a bere a questa fonte” (QA 35). Mette in guardia però anche da un indigenismo isolazionista, chiuso e astorico, che diventerebbe sterile e incapace di confrontarsi con l’inevitabile incontro con altre culture.
IL SOGNO ECOLOGICO
Il sogno ecologico si apre ribadendo la necessità di tenere presenti le connessioni tra ecologia naturale e sociale. La saggezza dei popoli originari proibisce l’abuso della natura, la considera come un “essere” o vari “esseri con cui relazionarsi”. Questo richiama il dibattito sui diritti della natura, che vede coinvolti oltre a giuristi anche antropologi (come Eduardo Viveiros de Castro). A Quito è nato nel 2014 il Tribunale internazionale permanente sui diritti della natura e della Madre Terra.
La Chiesa in Amazzonia si schiera con queste iniziative di lotta e denuncia, poco conosciute dalle nostre parti, in Occidente. È significativo il riferimento ai poeti popolari, “innamorati della sua immensa bellezza” (QA 46), che hanno denunciato lo sfruttamento dell’Amazzonia. Essi “ci aiutano a liberarci dal paradigma tecnocratico e consumista che soffoca la natura e ci priva di un’esistenza dignitosa” (QA 46).
La poesia è un linguaggio dei popoli, un patrimonio culturale, e il ricordo dei poeti cantastorie richiama ad una concezione gramsciana del folklore, risorsa, sapere di un popolo. “La poesia aiuta ad esprimere una dolorosa sensazione” (QA 47), che la distruzione del bioma amazzonico diventi irreversibile per la fragilità del suo ecosistema. Lo sfruttamento crea ricchezza in pochi e provoca danni per i popoli indigeni, ma anche per tutta l’umanità.
In linea con la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei Popoli indigeni (2007), il papa ribadisce che ogni progetto deve coniugare la saggezza ancestrale con le conoscenze tecniche contemporanee, ma deve anche avere il consenso informato dei popoli originari.
IL SOGNO ECCLESIALE
Il sogno ecclesiale, rivolto alla Chiesa, rivela scelte e percorsi che vanno a modificare una certa antropologia (cristiana). In primo luogo, il concetto di inculturazione, come presa di coscienza delle ricchezze delle culture amazzoniche. Occorre “ascoltare la saggezza ancestrale dei popoli indigeni, tornare a dare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli… come l’apertura all’azione di Dio, il senso di gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la stima per la famiglia, il senso di solidarietà e la corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza della dimensione culturale, la fede in una vita al di là di quella terrena, e tanti altri valori” (QA 70).
Francesco ribadisce con forza la volontà di recuperare e non squalificare come superstizioni o residui di paganesimo quelle forme di pietà popolare nate spontaneamente dalla vita della gente, quei riti e miti che contengono un significato sacro e sono spazi di unione e fraternità. Questo consentirà di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura, stimolando espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli. Già il Concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni, ma “sono trascorsi più di cinquant’anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione” (QA 82). Nel Sinodo era emersa anche la proposta di elaborare un “rito amazzonico”.
Papa Francesco conferma l’opzione preferenziale dei poveri, alla luce del mandato biblico di non farla da padrone sulla terra e sulla natura, perché questo approccio predatorio impoverisce anche i popoli che la abitano. Inoltre, relativizza il concetto occidentale di progresso, che potrebbe essere guarito nelle sue patologie dalla sapienza ancestrale dei popoli indigeni, dal loro “ben vivere” ecologico e sostenibile, comunitario e solidale.
(Articolo tratto da Missione oggi)