Da circa un anno stiamo vivendo la nostra esperienza di missione in Ecuador. Siamo partiti liberi da preconcetti e schemi per incontrare il popolo che la Chiesa di Padova ci ha affidato come famiglia fidei donum. Siamo stati colpiti fin dai primi giorni dalle grandi differenze e contraddizioni di questa terra. Persone estremamente povere, che faticano ad avere il pasto quotidiano e persone estremamente ricche che nemmeno sanno dell’esistenza delle prime o non le danno peso, vivendo dall’altra parte del fiume pensano che sia un altro mondo. La gente desiderosa di aiutare, di essere a disposizione ma allo stesso tempo chiusa e afflitta da tanti anni di storia che l’ha vista schiacciata e repressa. Prodotti della terra e risorse di questo Paese che sono tantissime, ma di cui la gente non può usufruire. La droga, come grave malattia che arriva a toccare la maggior parte delle famiglie, che allo stesso tempo è vista come fonte di sostentamento per la famiglia stessa. Un paese ancora molto cattolico dove però troviamo una Chiesa che parla di un Dio giudice e castigatore e che sempre più cede il passo a chiese evangeliche o sette dove le persone trovano nell’inganno, un rifugio.
In questo contesto, noi cerchiamo di focalizzarci sulle persone, sulle loro storie, la loro vita e soprattutto le loro prospettive e per questo motivo ci stiamo dedicando a progetti rivolti a persone che vivono in situazioni di fragilità. Seguiamo infatti con un doposcuola ‘Semillas de Mostaza’ (Granelli di Senape) per ragazzi dai 4 ai 12 anni che provengono da famiglie con un alto livello di vulnerabilità (dovuto alla povertà, narcotraffico, violenza, abusi), dove cerchiamo insieme ad altri operatori locali di garantirgli assistenza e sostegno nell’apprendimento e nello svolgimento dei compiti, che spesso, in classi di 50-60 ragazzi, manca al singolo studente. In queste ore pomeridiane cerchiamo di garantire loro soprattutto un clima di rispetto reciproco, di serenità, di allegria dello stare insieme, oltre che assicurargli una merenda tutti i giorni e un pasto completo due volte a settimana, che per molti dei bambini si tratta anche dell’unico pasto della giornata. Cerchiamo di coinvolgere anche i genitori con alcuni laboratori per farli riflettere su temi educativi e soprattutto per fargli condividere questo percorso con i loro figli.
Oltre a questa esperienza di quartiere seguiamo insieme ai due sacerdoti fidei donum e alle suore Elisabettine la pastorale nelle zone di campo. Appena fuori dalla parrocchia dell’Arbolito si aprono territori molto vasti dedicati alla coltivazione del riso. In questi campi, divisi in differenti comunità, chiamate recintos, vivono circa 400 persone. Per la maggior parte pescatori o coltivatori per conto di terzi. Vivere qui non è semplice, si vive in capanne fatte di canna di bambù, non si ha accesso a acqua corrente, a volte neanche all’elettricità, nelle scuole del territorio non c’è la possibilità di terminare la carriera di studio obbligatoria e soprattutto nella stagione invernale (gennaio-giugno) caratterizzata da forti piogge, le strade sterrate e polverose si trasformano in fiumi fangosi e i campi in paludi, questo significa due cose: è molto difficile dal campo arrivare alla città, spesso l’unico mezzo è la canoa, ed è quasi impossibile per noi arrivare da loro. L’inverno è quindi una stagione di isolamento. Nel tempo ridotto che abbiamo per svolgere le nostre attività cerchiamo di fare il meglio per stimolare queste persone. Quello che ci colpisce tanto è l’assoluta mancanza di prospettiva di futuro: nei bambini che incontriamo non ci sono sogni, non ci sono prospettive di uscita da questa realtà. Ogni settimana, con la nostra equipe insieme a volontari e ad alcuni catechisti delle due parrocchie che seguiamo, ci rechiamo in 4 differenti comunità per celebrare dell’Eucarestia, pregare insieme, vivere la catechesi per i ragazzi e alcuni laboratori di manualità per le donne. Momenti importanti per costruire relazioni e cercare di condividere storie, punti di vista, vite diverse.
E’ un piccolo scorcio di quello che stiamo vivendo qui. Anche per noi, come famiglia, si tratta di un tempo di crescita, al servizio degli altri. Le parole di Lele Ramin ‘Abbiate un bel sogno. Una vita che segue un sogno si rinnova di giorno in giorno’ ci risuonano nel cuore, alimentando il nostro sogno e aiutando a far nascere quelli degli altri.
Francesca e Alessandro
(2 dicembre 2019, articolo tratto dal sito Giovani e missione)