… anche in questo oggi si compie l’amore del Cristo che muore e risorge.
Riprendo il pensiero di don Raffaele confermando anche che su quanto ci viene chiesto in questo momento nella missione in Etiopia possiamo dire che anche noi ci siamo e ci stiamo consapevoli di essere comunque un piccolo e umile segno dell’amore di Cristo in questa terra.
La pandemia è arrivata in Etiopia qualche settimana fa (il primo caso è stato segnalato il 13 marzo); da parte del governo etiope, e anche della Chiesa Cattolica, si sono prese le misure adeguate di prevenzione che si sono intensificate nell’arco di pochi giorni considerando anche l’evolversi della situazione nei paesi circostanti ed in tutto il continente africano. In questo momento da parte delle istituzioni e dei mezzi di comunicazione vengono segnalati i casi di contagio: lunedì 6 aprile erano 44 localizzati non solo nella capitale Addis Abeba, ma anche in qualche altra città più o meno vicina alla capitale, due i morti (in questi giorni i numeri continuano a crescere!). Nei notiziari si ascoltano le informazioni che parlano delle diverse misure di prevenzione che si stanno diffondendo per tutta la popolazione, del rafforzamento dei mezzi di assistenza e cura nel momento del diffondersi dei casi di contagio e malattia. Giorno per giorno si percepisce l’intensificarsi della preoccupazione e della gravità; naturalmente si intuisce anche la scarsità e precarietà del sistema sanitario che però cerca di rispondere adeguatamente alla sfida anche di fronte ad una situazione economica deficitaria in vari ambiti e servizi (il fatto che il Direttore Generale della World Health Organization sia etiope forse motiva certi interventi istituzionali da parte del governo che cerca di dimostrarsi preparato). Ovviamente andrebbe tenuto conto anche di come la gente comune (non solo i poveri) riesce a recepire e attuare certe misure di prevenzione: il servizio dell’esercito e della polizia cerca di assicurare il rispetto di norme che non è istintivo accogliere e rispettare. Chi può seguire le informazioni internazionali si rende conto della gravità e di come certe misure di prevenzioni sono indispensabili per prevenire il rischio del contagio.
Le nostre missioni sono numericamente piccole, ma ugualmente abbiamo fin da subito seguito le indicazioni che ci sono state date dalle istituzioni pubbliche e religiose: da un paio di settimane stiamo celebrando nella missione di Adaba dove siamo residenti (quindi non ci spostiamo a Dodola e Kokossa che sono a 25 e 95 km). Nella liturgia quotidiana partecipano i ragazzi della casa famiglia che è annessa al compound della missione (sono poco più di una decina), al giovedì facciamo un momento di adorazione e al venerdì preghiamo la Via Crucis. Condividiamo i disagi di questo periodo di pandemia pur nella piccola realtà di missione che stavamo iniziando ad accompagnare più da vicino; comunque qualche contatto telefonico ci permette di segnalare la nostra vicinanza e preghiera (è sempre un piccolo segno di impegno missionario che cerchiamo di non far mancare insieme alla speciale intenzione nella preghiera quotidiana). Inoltre il momento e le condizioni (per noi comunque un po’ privilegiate) ci permettono di occupare il tempo in alcune attività nel compound, nello studio e nella preghiera personale e comunitaria.
Un segno di preoccupazione ci viene segnalato nella Prefettura Apostolica per quanto riguarda il personale che lavora nelle scuole che fanno parte della missione: le scuole sono una quindicina e sono finanziate con i soldi che provengono dalle rette, ma già da metà marzo sono chiuse e quindi non hanno entrate per i dipendenti che in questo periodo si potrebbero trovare senza stipendio (sono circa 180 in tutte le scuole). Un piccolo fondo cassa delle scuole garantirà lo stipendio per uno o due mesi, ma poi si dovrà affrontare la situazione economica già un po’ precaria per la Prefettura (magari con questa difficoltà si potrà rivedere le motivazioni di certe scelte progettuali fatte nell’ambito sociale). Certamente molte persone e famiglie in Etiopia dovranno affrontare le conseguenze della pandemia nella loro situazione già un po’ precaria; in quel momento capiremo meglio e condivideremo cosa rappresenterà questa drammatica pandemia in questo paese africano.
Adaba, 7 aprile 2020
Nicola De Guio