In viaggio nei luoghi di Gesù
Carissimi amici della missione, pace e bene! Riprendo il dialogo a distanza con tutti voi per comunicare alcuni recenti e significativi avvenimenti.
In effetti così è avvenuto.
Nei mesi scorsi ho preparato i catechisti con nozioni di geografia e di storia della Terra Santa. Abbiamo stillato un programma dei luoghi da visitare e preparato con il supporto del centro missionario tutti i testi liturgici delle celebrazioni in lingua Oromo. Forse è stata la prima volta che questa lingua è risuonata nelle celebrazioni dei luoghi santi. Il resto il pellegrinaggio si è svolto con tutta tranquillità secondo il programma. Dalla Terra Santa abbiamo raccolto un po’ d’acqua del Giordano che sarà utilizzata per il battesimo dei catecumeni. Siamo ripartiti da Tel Aviv proprio nel giorno in cui il Presidente Trump annunciava il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele.
Naturalmente molti cristiani, sentendo i racconti entusiasti e vedendo le foto che abbiamo proiettato, sperano di fare anche loro la stessa esperienza. Sarà possibile? Abbiamo sempre la speranza che la provvidenza ci assisterà.
Tra ortaggi e tentativi di piante da frutta
La Missione a Kofale dove mi trovo a risiedere dispone di un terreno che coltiviamo a frutteto e nel tempo ha trovato spazio anche un bell’orto con ortaggi, patate, fagioli e carote; i pomodoro invece non vengono. Per la missione sono una risorsa di prima necessità per la nostra alimentazione, si fa poco infatti uso di carne. Per la frutta facciamo anche alcuni esperimenti, perché il clima particolare dell’altopiano (2700 m) non ha il freddo dell’inverno (e quindi non matura la frutta come le mele perché la pianta non riposa), e neppure il caldo tropicale necessario, (per cui non matura la frutta, come banane, mango, papaia etc). Ho piantato da due anni alcune piante di giuggiole e l’anno scorso una nespola giapponese, ma l’unica pianta che ad oggi fa buoni frutti è un albero di “amoli“. Il mese scorso abbiamo fatto la raccolta delle patate: crescono bene e ne facciamo un grande uso.
La solennità del S. Natale
Nella Liturgia seguiamo il calendario della Chiesa Ortodossa di origine Copta. La fede cristiana è giunta in Etiopia dall’Egitto; il primo Vescovo è stato s. Frumenzio, consacrato da S. Atanasio di Alessandria. Il S. Natale perciò lo abbiamo celebrato il 7 gennaio. Ho cercato di prepararlo bene durante l’Avvento con opportune catechesi. La IV Domeica di Avvento abbiamo preparato anche il presepe con le statue che avevo acquistato a Betlemme. Per loro era una novità assoluta e sono rimasti stupiti ed entusiasti. Il sabato 6 gennaio ci sono recati a Kokkossa con Matteo e i catechisti . Nell’auto abbiamo caricato due pecore, un armadio, e fatto salire per la strada altre persone: c’è sempre posto per uno in più!
La mattina avevo convocato i cristiani battezzati l’anno precedente per la celebrazione penitenziale; vi abbiamo premesso una bella catechesi, la spiegazione dell’esame di coscienza con certi peccati in gergo Oromo, e quindi la confessione. Non riesco a capire tutto, comunque ho notato che erano comprensibilmente attenti al valore del sacramento; per il resto “supplet ecclesia“. Finita la celebrazione hanno cominciato a preparare le due pecore per il pranzo di Natale: sono davvero esperti.
Nel pomeriggio abbiamo proiettato un film su Gesu in Oromo. Alle 17.45 ho iniziato la S. Messa della notte: molti non hanno la luce elettrica e di notte non si muovono, per cui occorre anticipare la celebrazione. Era la prima volta che celebravo a Kokkossa la S. Messa Natalizia della notte. Per la cena abbiamo gustato la carne di pecora. L’indomani la celebrazione dell’Eucaristia è stata ben partecipata e festosa, ci sono più bambini del solito perchè hanno saputo che si condivide il pranzo e le mamme li hanno portati; qualcuno ha indossato anche un vestito di festa. Si respirava un bel clima di gioia. Dopo la S. Messa si è servito il pranzo di Natale: un solo piatto con injera (una sfogliata con farina di teff – cereale senza glutine ) , carne di pecora e salsa piccante . Mentre mangiavamo osservavo davanti a me una mamma: ha messo nella borsa circa metà della porzione della figlioletta e poi col piatto vuoto ha chiesto un’altra porzione. Non era appetito! Era fame. Ho pensato: Betlemme significa “casa del pane “ e Gesù Bambino è stato deposto in una “mangiatoia“. È Gesù il pane della vita.
Ho celebrato il S. Natale con intimo gaudio in questa comunità allo stato nascente. Penso cha anche Gesù sia stato contento di “rinascere“ in questo ambiente tanto vicino a quello di Betlemme, in mezzo agli Oromo tradizionalmente pastori e allevatori di pecore.
Piccole notizie, semplici e frammentate per raccontare la nostra quotidianità.
A fine gennaio rientro in Italia per alcune settimane, vi ricordo nella preghiera.
Abuna Antonio