Davanti a una culla vuota

Continuiamo il nostro percorso alla scoperta dei crocicchi del mondo che papa Francesco ci invita a visitare in occasione del Giubileo 2025. Il secondo pellegrinaggio da intraprendere ci porta là dove si è perso il desiderio di trasmettere la vita. Proprio nel mese che ospita la 47ª Giornata nazionale per la vita.

La perdita del desiderio di trasmettere la vita

Nella “Spes non confundit”, la bolla di indizione del Giubileo 2025, si legge: “Guardare al futuro con speranza equivale anche ad avere una visione della vita carica di entusiasmo da trasmettere. Purtroppo, dobbiamo constatare con tristezza che in tante situazioni tale prospettiva viene a mancare. La prima conseguenza è la perdita del desiderio di trasmettere la vita”.

Questa è la meta del nostro secondo pellegrinaggio da compiere nel Giubileo: andare lì dove non c’è più la fiducia nel futuro e l’entusiasmo necessario per mettere al mondo un figlio, per far rientrare la nascita nel progetto di ricerca della felicità.

La prima domanda che ci poniamo è: perché? Da dove viene questa perdita di desiderio di trasmettere la vita, che dovrebbe essere invece qualcosa di innato, un desiderio profondo radicato nel cuore di ogni donna e uomo.

Secondo l’Istat la motivazione sarebbe da ricercare nell’allungamento dei tempi di formazione e nella difficoltà di trovare un lavoro stabile. Queste due condizioni ritardano l’età in cui si esce dalla famiglia di origine e in cui si è economicamente autonomi per poter costruire una propria famiglia. Posticipazione che si scontra con la capacità riproduttiva biologica che diminuisce con l’avanzare dell’età.

Ma il motivo risiede solo in parte in questo. Secondo l’O.C.I.S. Osservatorio internazionale per la Coesione e l’Inclusione Sociale, l’Italia sarebbe dentro una “trappola demografica”: i pochi figli del passato, ossia i genitori di oggi, sono sempre meno e sempre più vecchi. La denatalità, che in Italia insiste da oltre trent’anni, diventa quindi un fenomeno strutturale, in quanto diminuiscono i potenziali genitori.

Ci sono altri fattori che influenzano la denatalità, come ad esempio l’assenza di un adeguato sistema di welfare e di politiche efficaci a sostegno della natalità e delle famiglie. Il carico nella gestione dei figli inoltre è ancora fortemente sbilanciato sulle donne che spesso non riescono a conciliare lavoro e famiglia. L’infertilità in aumento, che secondo l’OMS colpisce 1 persona su 6, è un’altra causa: il 15% delle coppie italiane secondo l’Istituto superiore di sanità vorrebbe, ma non può avere figli. E ancora, il cambiamento del modello familiare che vede il costante aumento di single, 18 milioni e mezzo di persone nel nostro Paese secondo i dati Istat.

Un preoccupante calo della natalità

Continua la “Spes non confundit”: “A causa dei ritmi di vita frenetici, dei timori riguardo al futuro, della mancanza di garanzie lavorative e tutele sociali adeguate, di modelli sociali in cui a dettare l’agenda è la ricerca del profitto anziché la cura delle relazioni, si assiste in vari Paesi a un preoccupante calo della natalità”.

Una corsa al ribasso, confermata anche nel 2023 che ha visto un calo delle nascite in Italia del 3,4% sull’anno precedente. Trend che sembra ripetersi anche nel 2024, dal momento che, in base ai dati provvisori relativi ai primi mesi, le nascite sono 4.600 in meno rispetto allo stesso periodo del 2023. Il numero medio di figli per donna si attesta a 1,20.

Ma come sappiamo questo non è un fenomeno solo italiano.

Circa due terzi della popolazione mondiale vivono in Paesi al di sotto di 2,1 figli per donna, la cosiddetta “soglia di sostituzione”, cioè il livello che garantisce il mantenimento della popolazione. Emerge inoltre un disequilibrio crescente tra i Paesi in cui il tasso di natalità diminuisce più lentamente, è il caso ad esempio dell’Africa subsahariana, e quelli che registrano un vero e proprio crollo della natalità, come avviene nell’Asia meridionale. Il record in negativo spetta alla Corea del Sud con un tasso di fecondità pari a 0,78. Le previsioni per il futuro non fanno che tracciare un quadro ancora più nero.

La mappa mostra il tasso di natalità: più scura è la tonalità del colore, maggiore è il valore https://www.indexmundi.com/map/?v=25&l=it

L’impegno legislativo e il sostegno delle comunità

L’apertura alla vita con una maternità e paternità responsabile è il progetto che il Creatore ha inscritto nel cuore e nel corpo degli uomini e delle donne, una missione che il Signore affida agli sposi e al loro amore. È urgente che, oltre all’impegno legislativo degli Stati, non venga a mancare il sostegno convinto delle comunità credenti e dell’intera comunità civile in tutte le sue componenti”.

Scegliere di non avere figli o metterne al mondo senza coscienziosità. Tra i due estremi c’è l’uso della ragione illuminata dalla fede, non ci sono regole se non quelle scritte nel profondo del cuore di ciascuno e che rispondono alla maternità e paternità responsabili.

Ma in questo discernimento la coppia non deve e non può essere sola. C’è bisogno di politiche di supporto alle famiglie, strutture per l’infanzia, asili nido e servizi educativi, congedi parentali e flessibilità per entrambi i genitori, sostegni economici.

E poi c’è il ruolo della comunità tutta. Scrive Ferdinando Camon su Avvenire: “Quando vivevo nella civiltà contadina povera sentivo le famiglie che s’interrogavano una con l’altra: «Hanno figli quelli? E quanti?». Adesso questa sarebbe un’indiscrezione pesante, oserei dire irriguardosa. Non si fa più. Una volta, che una famiglia avesse o non avesse figli era una questione del quartiere, riguardava tutti. Adesso è una questione della famiglia, riguarda lei e basta. Le famiglie intorno ne prendono atto”.

È un po’ come quel detto africano: “Per crescere un bambino ci vuole un intero villaggio”. Ci vuole una rete più ampia, una comunità appunto, attiva e solidale, che condivide con la coppia la cura per quel figlio che rappresenta il futuro e che genera speranza.

Recuperare la gioia di vivere

E i ragazzi cosa dicono? Secondo una ricerca dell’Istat del 2024, i giovani tra 11 e 19 anni immaginano il loro futuro in coppia (74,5%) e con figli (69,4%), il 21,8% è indeciso e l’8,7% dice di non volerne. Ma questo desiderio sembra scontrarsi con la realtà e la percezione del futuro, affascinante per il 41,3%, che fa paura per il 32,3%. Forse anche per questo, il 34% dei ragazzi da grande vorrebbe vivere in un altro Paese: negli Stati Uniti, in Spagna o in Gran Bretagna. C’è molto da lavorare quindi, in termini di opportunità, ma soprattutto per far crescere la fiducia nel futuro.

La “Spes non confundit” conclude dicendo: “Tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gen 1,26), non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti”.

Recuperare la gioia di vivere è sicuramente una strada da percorrere per ritrovare la fiducia nel futuro. Sembra che la nascita di un figlio sia sempre più percepita come nuovo impegno, nuova responsabilità, nuovi vincoli, prima ancora che motivo di felicità, esperienza di gratuità e dono, compartecipazione al miracolo della creazione.

E allora servono sicuramente politiche a sostegno sociale ed economico, ma urge anche una rinnovata testimonianza di bellezza da parte di chi ha vissuto la gioia piena, profonda e concreta che deriva dalla paternità e dalla maternità. Per tornare a guardare alla natalità come allo “spalancarsi di un nuovo orizzonte di creatività e di felicità”.

 

Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere”.  Papa Francesco

 A cura di Elena Cogo

 

 

(foto pixabay)