L’11 febbraio ricorre la 30° Giornata Mondiale del Malato. Un’occasione per dare uno sguardo alla situazione delle vaccinazioni anti Covid nel mondo. Secondo i dati di dicembre 2021 in media il 45% della popolazione mondiale è vaccinato. Ma come sappiamo bene, il dato medio non dice molto sulla reale distribuzione dei vaccini nei diversi Paesi. E così scopriamo che in Africa la percentuale scende all’8%.
Occorre condividere il know-how, riconoscere i vaccini come beni pubblici e incrementare il progetto Covax. Il caso esemplare di Maria Elena Bottazzi, candidata al premio Nobel per la Pace per il suo vaccino senza brevetto.
Condividere scienza e know-how
Secondo i dati di dicembre 2021 in media il 45% della popolazione mondiale è vaccinato. Le percentuali di vaccinati in 4 continenti si attestano intorno al 50-60%. Nello specifico: Nord America 55%, Sud America 60%, Europa 59%, Asia 50% e Oceania 56%. A distanziarsi enormemente da questi dati è l’Africa che si ferma invece all’8%.
Mentre paesi come Italia, Regno Unito e Canada hanno acquistato dosi sufficienti per vaccinare completamente l’intera popolazione, in Africa sub-sahariana con l’attuale quantità di dosi disponibili è possibile vaccinare solo 1 persona su 8. È quanto denunciano Oxfam ed Emergency nell’ennesimo appello alle aziende farmaceutiche e ai Paesi ricchi, affinché si possa cambiare rotta prima che sia troppo tardi.
Il rifiuto delle aziende farmaceutiche di condividere scienza e tecnologia e la mancanza di azione da parte dei Paesi ricchi, per garantire l’accesso ai vaccini a livello globale, hanno generato le condizioni ideali per la diffusione di nuove varianti.
“Qual è il senso di sviluppare nuovi vaccini in 100 giorni se poi questi sono venduti in quantità limitate ai migliori offerenti, magari a prezzi più alti degli attuali e lasciando ancora una volta le nazioni povere in fondo alla fila? – si chiedono Sara Albiani, policy advisor sulla salute globale di Oxfam Italia e Rossella Miccio, presidente di Emergency.
Solidarietà tra Paesi: il progetto Covax
Sono diverse le strade da percorrere per cercare di ristabilire un po’ di equilibrio. Da una parte, come chiedono le due organizzazioni internazionali, la necessità di riconoscere i vaccini come beni pubblici globali, ponendo così fine al controllo monopolistico delle aziende farmaceutiche, a favore della condivisione del know-how con i produttori di tutto il mondo, tramite l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Dall’altra parte, uno strumento sicuramente utile è il famoso progetto Covax, voluto dall’OMS in collaborazione con altri partner. L’iniziativa prevede che i Paesi cosiddetti ricchi si impegnino a donare vaccini ai Paesi più poveri a favore di una distribuzione globale equa.
Per avere un’idea della situazione attuale, si può consultare l’interessante piattaforma Our World in Data (https://ourworldindata.org/covid-vaccinations) che monitora, tra le altre cose, i vaccini somministrati in tutto il mondo.
Ad oggi gli Stati Uniti hanno donato 53 milioni di dosi all’iniziativa, ben poche se paragonate all’impegno che il Paese aveva preso di oltre 857 milioni di dosi. L’Europa ha donato 240 milioni di dosi su 450 milioni promessi. L’Italia, da parte sua, ha già destinato a Covax 35 milioni di dosi, quasi la totalità di quelle promesse, pari a 45 milioni.
Corbevax, il vaccino senza brevetto
Non tutti i vaccini sono uguali, non tutti sono brevettati. Stiamo parlando di Corbevax, il vaccino anti Covid sviluppato dalla ricercatrice genovese Maria Elena Bottazzi, cresciuta in Honduras e docente al Baylor College of Medicine di Houston, candidata al premio Nobel per la Pace. Approvato per ora in India, Corbevax è un vaccino poco costoso da produrre su larga scala in quanto non richiede tecnologie d’avanguardia e ha un’efficacia che supera l’80% contro la variante Delta. Ma soprattutto, per volere della ricercatrice, non è protetto da brevetto.
A un’intervista su Repubblica.it a cura di Giuliano Aluffi, la Bottazzi spiega: “La nostra presa di posizione precede il Covid: il nostro centro originariamente è stato creato per sviluppare vaccini per le malattie tropicali, ovvero farmaci che le case farmaceutiche hanno poco interesse a produrre” – e continua – “Per incentivare la possibilità di collaborazioni con i produttori, l’ideale è usare dei sistemi di produzione che siano aperti e facili da implementare, sistemi per i quali i produttori abbiano già il know-how necessario. L’aspetto più importante è colmare il gap che esiste tra Paesi poveri e Paesi ricchi riguardo alla produzione e distribuzione di vaccini, e il nostro modello collaborativo e senza brevetti va proprio in questa direzione“.
A cura di Elena Cogo