La vita di questa suora dell’istituto fondato da san Giuseppe Benedetto Cottolengo di Torino, nativa di Cittadella, in Kenya dal 1905 al 1925, è un inno alla carità, di un’esistenza a servizio dei più poveri, dei più bisognosi, avendo cura del prossimo nella concretezza del quotidiano tanto da essere chiamata dai Kikuyu e dai Wameru “mware muega” (suora buona).
E’ morta a 48 anni sulla nave che la riportava in Italia, il suo corpo “sepolto” nelle acque del Mar Rosso. «Una buona morte pagherà tutto» è stato il motto ricorrente della sua vita.
Suor Maria Carola sarà proclamata beata sabato 5 novembre 2022 a Meru, in Kenya. Presiederà la Celebrazione, S.E.R. Cardinale John Njue, Arcivescovo emerito di Nairobi, che rappresenterà il Sommo Pontefice.
Alleghiamo un’interessante approfondimento sulla vita della nuova beata pubblicato nella rivista Missioni Consolata – aprile 2022 e un profilo uscito sul settimanale diocesano La Difesa del popolo
Origini e professione religiosa
Maria Carola, il cui nome d’origine era Fiorina, nasce il 3 aprile 1877 a Cittadella, nell’attuale territorio della parrocchia di Laghi. È la quinta di otto fratelli e, dopo aver completato le scuole elementari, matura dentro sé la chiamata a una vita consacrata a Dio. Inizialmente si avvicina all’istituto delle Suore Dorotee di Vicenza, dove era presente anche una sorella maggiore. Per un malinteso con la madre generale, però, che sospetta una salute cagionevole della giovane, non entra a farne parte. Maria Carola non si scoraggia e si affida alla volontà del Signore. Di lì a poco, grazie ai contatti di un cappellano della zona, si trasferisce, non ancora ventenne, a Torino dove si trova la Piccola Casa della Divina Provvidenza, il “Cottolengo”. Qui veste l’abito religioso e nel 1899 emette la professione. Negli anni seguenti si occupa soprattutto di servizio in cucina e si dedica alla preghiera. La sua vocazione profonda è donarsi, amare Dio e le anime; sogna, soprattutto, di diventare missionaria.
Vocazione che diventa azione
Nel gennaio 1905 parte per il Kenya, dove le suore sono richieste per coadiuvare i preti missionari già presenti. Insieme ad altre consorelle, è tra le prime donne a compiere quest’avventura: solo le suore comboniane, infatti, erano già nel continente africano. Alta, robusta, dal passo lungo, suor Maria Carola si mette subito all’opera. A Iciagaki, la prima missione dove presta servizio, raccoglie attorno a sé la piccola comunità, occupandosi delle loro anime ma anche di attività pratiche: rende abitabile la casa, che è poco più di una baracca, coltiva l’orto, abbellisce il cortile. Il suo motto, in lingua dialettale, è «’Na bônamort a pagràtut», una buona morte pagherà tutto. Si dimostra donna saggia e prudente, attiva, ricca di pietà.
Quando ha sistemato un po’ le cose e le sembra di poter cominciare una normale vita missionaria, le giunge la richiesta di partire per un’altra missione, a sostituire due consorelle partite per l’ospedale da campo. È infatti il momento drammatico della guerra 1915-1918. Poi gli spostamenti si susseguiranno verso missioni sempre nuove. Lei nelle difficoltà canterella: «’Na bônamort».
Viaggio di rientro e morte
Dopo vent’anni passati in Africa, diventata nel frattempo superiora, Maria Carola si imbarca su un piroscafo per tornare in Italia. È il 1925 ed è tra le ultime sorelle a lasciare le missioni. La religiosa è provata da una grave infiammazione contratta in quelle terre, e il 13 novembre, a 48 anni, il suo fisico non regge, lasciandola priva di vita. I funerali vengono celebrati a bordo, con i soldati, il capitano, un medico, la consorella Crescentina Vigliano. La salma viene poi deposta sulle acque del Mar Rosso.
Santità
«Suor Maria Carola ha incarnato perfettamente le tre virtù teologali: fede, speranza e, soprattutto, carità – racconta Antonietta Bosetti, suora postulatrice della causa – Non amava molto parlare, preferiva operare concretamente, desiderava far conoscere Gesù e assicurare più persone possibili al Paradiso. Con la sua opera missionaria, di evangelizzazione e promozione sociale, ha anticipato i tempi, portando unione e pace ovunque. Era sempre all’opera, insegnava alle catecumene e faceva la massaia. Intelligente, sempre sorridente, ha saputo sacrificarsi rappresentando l’eroicità del dono. Per noi è un vero gioiello».
«Vivo e condivido lo stupore per il riconoscimento delle virtù vissute in modo eroico da questa nostra sorella – aggiunge madre Elda Pezzuto, superiora generale delle suore del Cottolengo – il dono della chiamata alla vita consacrata cottolenghina è cammino certo di santità un secolo fa come ora: essere donna nella Chiesa e donare tutta se stessa nel vivere e testimoniare l’Amore di Dio per ogni uomo e donna ed essere ovunque evangelizzatrici credibili. Deo gratias».
Miracolo
Per la beatificazione della Venerabile Serva di Dio Maria Carola Cecchin (al secolo: Fiorina), la Postulazione della Causa ha presentato all’esame della Congregazione l’asserita miracolosa ripresa vitale, attribuita alla sua intercessione, di un bambino che nel momento della nascita mostrava “assenza prolungata delle attività vitali (cardiaca, respiratoria, neurologica)”. L’evento accadde nel 2013 tra Gatunga e Matiri, nel Tharaka (Meru, Kenya). Il 12 aprile 2013 la madre, si presentò al Catholic Health Center di Gatunga per sospetto travaglio in fase iniziale. Rimasta in osservazione tutta la notte, il giorno successivo venne dimessa dopo essere stata visitata in assenza di indagini strumentali e di laboratorio. La sera del 13 la Signora si recò nuovamente in ospedale, dove decisero di trasferirla all’ospedale Sant’Orsola di Matiri, distante circa due ore di auto, per effettuare un taglio cesareo in urgenza. Alle 3.55 partirono su una Land Rover, con il kit per il parto, l’autista, l’infermiere ostetrico, una suora e la partoriente. Dopo circa un’ora di viaggio il gruppo si fermò perché la Signora stava partorendo e, alle 4.55 del 14 aprile, nacque il bambino. Il neonato si presentava cianotico, con assenza di riflessi, senza tono muscolare, non piangeva e non respirava. A distanza di un minuto, l’infermiere lo definì “nato morto”. Vani risultarono i tentativi di stimolazione e di rianimazione; a dieci minuti dalla nascita, il neonato non mostrava alcuna comparsa dei parametri vitali. Nel frattempo la madre era peggiorata e presentava una grave emorragia, per cui l’attenzione dei presenti veniva rivolta a lei, che chiedeva continuamente se il bambino fosse vivo. Fu allora che la suora invocò la Venerabile Serva di Dio Maria Carola Cecchin. A 30 minuti dalla nascita, il neonato cominciò a presentare movimenti al torace e agli arti e comparvero l’attività cardiaca, il tono muscolare ed i riflessi; il colorito diventò sempre più roseo e il neonato cominciò a piangere. Le preghiere alla Venerabile Cecchin furono rivolte anche dalle consorelle della comunità di Gatunga. Sussiste il nesso causale tra l’invocazione e l’improvvisa ripresa dei segni vitali del neonato. I genitori del bambino, di religione metodista, pur non conoscendo la Venerabile, ritennero sin da subito che il figlio fosse vivo per un miracolo, tanto che i nonni aggiunsero al suo nome quello di “Kiama”, che significa “Miracolato”.
Un nipote custodisce un suo crocifisso
Degli effetti personali di suor Maria Carola non è rimasto molto. La famiglia di un nipote serba con cura un suo crocifisso di medie dimensioni. A Torino sono conservate anche alcune sue lettere e un libretto lo studio lingue straniere.
La morte
Suor Crescentina Vigliano, rimasta con suor Maria Carola fino alla fine, scrive dei suoi ultimi attimi di vita «baciò con fede ed ardore intenso il Crocifisso che le posai sulle labbra, mi guardò con un bel sorriso e, fatto un gran segno di Croce, mentre il suo volto s’irradiava di una gioia inesprimibile, come assorta in una cara visione, mormorò: “Sì, Gesù sono tua… tutta tua… Mamma mia, Maria, presentami Tu a Gesù… Ti amo… Ti desidero… voglio venire con Te… con Te in Paradiso…”. Dolcemente chinò il capo e spirò».