Rimangono sotto terra per anni, nascoste dalla vegetazione, per poi esplodere il giorno in cui qualcuno malauguratamente le trova nella propria strada. Ogni anno il 4 aprile si celebra la Giornata Internazionale per l’azione contro le mine e gli ordigni bellici inesplosi, per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo problema. Un tema purtroppo tornato molto d’attualità in questi giorni a causa del conflitto in Ucraina. Si tratta in realtà di un fenomeno di proporzioni enormi, che non ha mai smesso di provocare tragedie. Nel 2020 si sono contate 7.073 vittime di cui l’87% civili, 1.872 bambini.
Oltre 7.000 vittime di mine
Si parla di mine anti-persona e munizioni a grappolo. Le si mettono insieme perché le conseguenze di questi ordigni sono più o meno le stesse. Le bombe a grappolo sono progettate per colpire su un’ampia area grazie al numero di submunizioni che contengono. Vengono sganciate da velivoli, razzi e missili guidati e molto spesso rimangono a terra inesplose, causando appunto le stesse tragedie delle mine. Ordigni pericolosi, non solo perché spesso colpiscono civili, non obiettivi militari. Ma anche perché restano attivi e letali per decenni dopo la fine dei conflitti.
Secondo il rapporto Land Mine Monitor 2021 le vittime delle mine anti-persona sono state nel 2020 ben 7.073, di cui quasi 2.500 i morti, oltre 4.500 le persone rimaste ferite e mutilate, 1.872 i bambini. Quasi ogni ora una persona muore o resta vittima di gravi malformazioni calpestando una mina. Nel 2019 il numero complessivo era di 5.853 vittime.
Secondo l’Onu, il maggior numero di vittime si registra in Siria (2.729) e in Afghanistan (1.474), seguiti a distanza da Mali (368), Yemen (350) e Myanmar (280).
“Sia le mine terrestri che i residuati bellici esplosivi rappresentano una minaccia seria e continua per i civili – si legge nel rapporto – Queste armi possono essere trovate su strade, sentieri, campi di contadini, foreste, deserti, lungo i confini, nelle case e nelle scuole circostanti e in altri luoghi in cui le persone svolgono le loro attività quotidiane”.
Mine e bombe a grappolo fuori legge
Lo scorso 2 dicembre 2021 finalmente è stata approvata in Italia la legge che impedisce qualsiasi sostegno anche finanziario alla produzione di mine antiuomo e cluster bombs (munizioni a grappolo). L’iter di questa legge è stato piuttosto travagliato, arriva infatti a 10 anni dal suo avvio, dopo che nel 2017 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella si è trovato costretto a respingerla per un difetto di costituzionalità. Secondo il Land Mine Monitor in questi quattro anni, dal 2017 al 2021, sono stati investiti oltre 31 miliardi di dollari nel settore da parte di 110 istituzioni finanziare che hanno sostenuto la produzione di questi ordigni.
Questa legge arriva dopo il Trattato di Ottawa del 1997 che metteva al bando le mine antiuomo e dopo la Convenzione sulle Munizioni Cluster del 2008 contro le bombe a grappolo. Sono tre gli assi fondamentali dell’accordo internazionale: la non proliferazione, la distruzione degli arsenali esistenti e la bonifica delle aree minate.
164 Paesi hanno ratificato la Convenzione sulla messa al bando delle mine. 12 invece gli Stati che il report indica come produttori di mine antiuomo: Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Singapore, Corea del Sud, Stati Uniti e Vietnam.
“Sono passati oltre vent’anni da quando Gino Strada ha parlato degli effetti di questi “Pappagalli verdi” sui bambini in Afghanistan – scrive in una nota la Presidente di Emergency, Rossella Miccio – e ancora ne vediamo le conseguenze tutti i giorni nei nostri ospedali. Dodici Paesi non hanno ancora ripudiato la futura fabbricazione di mine, mentre 16 Paesi producono bombe a grappolo. Disincentivare i finanziamenti per la loro produzione è cruciale e questa legge segna un passo avanti per dare effettiva attuazione all’articolo 11 della Costituzione Italiana, consci però che la strada da percorrere è ancora molta».
Arsenali ancora troppo pieni
Secondo il report, negli arsenali di tutto il mondo ci sarebbero ancora milioni di mine antiuomo pronte all’uso. Se è vero che “la maggior parte dei paesi elencati come produttori di mine antiuomo non producono attivamente, ma devono ancora dimostrare di avere smesso”, sembrano essere “ancora produttori attivi India, Iran, Myanmar, Pakistan e Russia”.
Lo scorso anno gli Stati Uniti hanno annunciato di voler riattivare l’uso di mine e, secondo il rapporto, nei loro arsenali ve ne sarebbero circa tre milioni. Un numero impressionante ma molto inferiore a quello della Russia, che ne conserverebbe 26,5 milioni.
Nel mondo sono circa 50 milioni le mine antiuomo pronte a scoppiare. Grave la situazione in Paesi come Guinea-Bissau, Mauritania, Nigeria, Algeria, Kuwait, Mozambico, Nicaragua, Burkina Faso, Camerun, Mali, Tunisia, Venezuela, Afghanistan. Ma anche in alcuni paesi europei come Bosnia Erzegovina, Croazia e Ucraina, già prima dello scoppio del conflitto.
Il rapporto si spinge oltre e porta anche esempi di Paesi che, nonostante abbiano sottoscritto la Convenzione sulla messa al bando delle mine, continuano ad accumulare nei propri arsenali decine di migliaia di ordigni mortali. È il caso della Finlandia che avrebbe ancora 15.851 mine anti-persona, la Svezia 5.984, Grecia, Croazia e Belgio oltre 2.000.
Animali anti mine
Forse qualcuno ricorda la notizia dello scorso gennaio della morte di Magawa, il topo anti mine della Cambogia che aveva fiutato oltre 100 esplosivi. Il topo marsupiale gigante africano era stato addestrato a scovare le mine grazie al suo eccezionale olfatto.
Non è l’unico esempio di animali che aiutano l’uomo a risolvere problemi che lui stesso ha creato. Frequente è l’uso di cani addestrati allo sminamento, largamente utilizzati durante la Seconda Guerra Mondiale e più recentemente in Afghanistan. Già dagli anni ’60 l’esercito americano utilizza delfini addestrati per le operazioni di disinnesco in mare. Mentre nei Balcani, altra terra devastata dagli ordigni bellici delle guerre dell’ex Jugoslavia, sono state addestrare addirittura le api. Ricompensate con acqua zuccherata e affiancate da droni che fotografano i luoghi dei ritrovamenti, le api bosniache individuano le tracce d’esplosivo ronzandoci sopra.
Da fabbricante di mine anti-persona a sminatore
Nel TgPost di Tv2000 a cura di Nicola Ferrante una storia di cambiamento e di rinascita. Quella di un imprenditore pugliese che da fabbricante di componenti per mine anti uomo ha deciso di cambiare tutto e di lavorare invece per rimuoverle dai teatri di guerra passati: LINK VIDEO
A cura di Elena Cogo