Abbiamo accolto la triste notizia della scomparsa di Mons. Antonio Gregori, siamo vicini alla sua cara famiglia con preghiera e amicizia. Tutto il mondo missionario, che lui ha tanto amato e servito, ringrazia il Signore per il dono che don Antonio è stato per l’intera nostra diocesi
Abbiamo raggiunto telefonicamente Mons. Lorenzo Piva suo stretto collaboratore fin dagli inizi degli anni ’80 e abbiamo raccolto una preziosa testimonianza, che ci racconta in poche battute non solo la storia e la vita ma soprattutto il desiderio di annuncio del Vangelo “fino agli estremi confini della terra”.
Il 1° marzo, primo giorno di Quaresima, è tornato alla casa del Padre mons. Antonio Gregori, nato a Barbano di Grisignano di Zocco 84 anni fa, per sedici anni aveva lavorato a Roma come segretario della Pontificia Unione Missionaria del Clero, poi, per quasi vent’anni, da inizio degli anni ’70 fino al 1990, era stato direttore del Centro Missionario di Padova, per poi assumere il ruolo di parroco di Sant’Andrea in Padova.
Lo ricorda con affetto mons. Lorenzo Piva, attuale capoufficio della Congregazione per l’Evangelizzazione (Propaganda Fide), suo segretario in Centro Missionario patavino dall’82 al ’90: «Era una persona delicatissima, lungimirante, aperta, socievole, capace di custodire e gestire con sensibilità le fatiche e le tensioni di un mondo come questo. Mons. Gregori era davvero capace di respirare la Chiesa universale: a Roma, negli anni del Concilio, incontrò molti vescovi provenienti dalle giovani Chiese, quando ancora i vescovi europei non avevano contatti con loro. Riportò a Padova quest’attenzione lavorando in grande simbiosi con il vescovo per favorire la presenza di fidei donum in Kenya, in Brasile e in Ecuador». Dovendo gestire le attività di oltre 40 preti fidei donum, il vescovo Filippo Franceschi lo nominò vicario episcopale per l’attività missionaria: «Sì, la missione è dovunque – ammette mons. Piva – ma Gregori era preoccupato di raggiungere in modo particolare chi non aveva mai ricevuto l’annuncio del Vangelo: riceverlo è un diritto di ogni essere umano». Da qui è facile il parallelismo con un altro gigante della missione padovana, mons. Mazzuccato: «Lui si era concentrato in ambito medico con i laici, mentre Gregori sviluppò il servizio dei fidei donum. La sua intelligenza, la sua lungimiranza e il suo carisma lo portavano a dire: “Noi andiamo a dare, ma riceviamo un grande ritorno, perché respiriamo la fede viva delle Chiese giovani. Così, siamo in grado di riportare a casa quest’aria fresca».
E qui mons. Piva ricorda l’impatto che Gregori ha avuto su di lui: «Venivo dall’Acr e volevo diventare fidei donum. Mons. Gregori però mi chiese di animare la diocesi a livello missionario: per lui, infatti, la dimensione missionaria era uno dei pilastri della Chiesa, proprio come la catechesi, il mondo laicale, la carità». Ed è proprio qui, per mons. Piva, la vera eredità che mons. Gregori lascia a Padova. «desiderava una Chiesa che non si chiude, che mette a disposizione se stessa e le sue forze per tutta la chiesa e per il Regno. Il grosso rischio che abbiamo di fronte è quello di rincorrere le sensibilità sociopolitiche di oggi, per cui occorre pensare prima a noi, e poi, forse, agli altri. Ma questo ragionamento è una sfida persa e ci impedisce l’ossigenazione: restiamo soffocati. La missio ad gentes è una ricchezza più per chi la vive che per chi la riceve: per questo, mi auguro che la sua eredità venga portata avanti perché è un tutt’uno con il DNA della Chiesa di Padova».