Condividiamo una bella riflessione di un giovane partecipante al percorso Viaggiare per Condividere che per due anni consecutivi si è visto “sospeso” a causa della pandemia, il sogno di realizzare un’esperienza di viaggio in missione. È un bel segno di speranza leggere dalle sue righe che, nonostante tutto, desidera continuare a lasciarsi condurre dallo stile della missione anche nel proprio quotidiano!
In queste righe non voglio parlarvi del viaggio che non siamo riusciti a vivere la scorsa estate. Penso sia abbastanza intuibile la delusione che abbiamo provato quando ci è stato comunicato che non avremmo vissuto il viaggio in missione; questa decisione, seppur giustissima e condivisibile, è stata una doccia fredda per noi che ci eravamo appena affacciati al mondo missionario e non stavamo più nella pelle per l’esperienza che ci avrebbe atteso da lì a pochi mesi.
In queste righe non voglio nemmeno parlarvi di come questo fantomatico viaggio me lo immagino, di quando potrò farlo, delle esperienze che potrei vivere e di come potrebbe arricchire la mia vita.
In queste righe invece, voglio parlarvi di un “altro viaggio”, un viaggio strano, difficile da raccontare, che senza grossi clamori è già iniziato e piano piano, come una piccola goccia persistente, sta scavando un solco profondo.
Perché mi trovo oggi, esattamente un anno dopo il giorno della partenza mai arrivata, ad essere comunque grato per quanto è e non è avvenuto. Mi viene quasi scherzosamente da dire che alla fine credo di essere io a fare invidia a chi invece prima di me il viaggio l’ha fatto; perché è quasi automatico riempirsi il cuore dopo un’esperienza in missione, ma provate a farlo quando invece la missione te la mettono sotto il naso e poi te la tolgono.
Sono pieno di gioia e carico di entusiasmo per tutti gli incontri fatti (si, anche quelli in Zoom) e cerco di raccogliere a mani basse ogni possibile occasione per continuare ad assaporare questo fantastico mondo che è la missione. Perché, anche se in brevissimo tempo, mi ha dato e continua a darmi tanto; sarei stupido ad interrompere questo viaggio quando sento che il bello deve ancora arrivare.
Più ci penso e più me ne rendo conto: durante gli incontri di VxC ci è sempre stato ricordato che questo percorso non ha come fine unico l’esperienza estiva in missione; ma per quanto ti senti dire una cosa, non riesci a farla tua fino in fondo se non la vivi in prima persona.
A distanza di un anno mi trovo a riconoscere che la cosa importante di questo percorso non è quello che si vive in missione, ma è quello che si riesce a riportare a casa, nel quotidiano, perché è questo il vero viaggio delle nostre vite: l’essere missionari nel luogo in cui viviamo. E non credo sia retorica, è senso di responsabilità, di comunione e di Vangelo. Ed è meraviglioso.
Sono sincero, il non essere riusciti a partire ancora adesso mi sta sul groppone. Il desiderio di viaggiare rimane fortissimo anche se devo riconoscere che è cambiato, perché inevitabilmente in questo anno tutto il mondo è un po’ cambiato. Il viaggio però lo desidero ancora, anzi forse più di un anno fa; se fosse per me prenderei l’aereo anche oggi stesso e con un biglietto di sola andata.
Ma oggi sono qui: in Italia, nel mio ufficio, nella mia parrocchia, con i miei famigliari e amici. È qui la mia missione adesso; meno esotica di come me la immaginavo all’inizio del percorso, ma non per questo meno arricchente ed emozionante. È anche questo un viaggio bellissimo che merita di essere vissuto senza riserve.
In conclusione, parafrasando un celebre detto: “L’attesa del viaggio è essa stessa il viaggio”. Verissimo. Però, siccome nella vita ci vuole equilibrio, speriamo che questa attesa prima o poi finisca.
Lorenzo Tecchio