Fratelli nella fede,
Mi chiamo Domenico Rossato. Sono medico all’Opera della Provvidenza Sant’Antonio , una casa di Padova che accoglie più di 600 disabili e ho avuto l’onore di essere amico di don Ruggero.
[ … ] Mi è stata chiesta una testimonianza, un di ricordo del suo esempio di carità vissuta in prima linea. Vi confesso che la prima reazione è stata una buona dose di ritrosia …..come è possibile testimoniare su un testimone (martire ….)? nooo…per fortuna sono e siamo in buona compagnia! Da Mosè a Gedeone, a Nicodemo a San Paolo i testimoni interpellati hanno trovato mille scuse: sono balbuziente,…. voglio le prove che sei tu a chiedermelo, ….sono vecchio…. sono afflitto da una spina nella carne etc.
Il leit motiv (di solito) si riassume nella consapevolezza dei propri limiti oppure, più sottilmente, nell’incredulità sull’incarico dato da Dio accompagnato dalla richiesta di una qualche dimostrazione che le cose stiano veramente così come promesse.
Usciamo da questo impasse solo se non testimoniamo noi stessi ma Colui che ci ha mandati…è per questo che oggi non sono qui a parlarvi di me e in fondo neanche di don Ruggero ma dell’unica cosa che “so” : Il Cristo e questi crocefisso. [ … ]
Ad aumentare il disagio di testimoni a cui accennavo prima, è anche la consapevolezza del fatto che sono sicuro che Don Ruggero non avrebbe gradito troppo una veglia in suo nome e meno che meno un ricordo volto solo al passato.
Per spiegarmi prendo a prestito un po’ di righe del discorso che ha fatto Obama dopo la strage di Tucson all’inizio dell’anno:
“…quando perdiamo qualcuno in famiglia.. specie se la perdita è inaspettata siamo distolti dalla nostra routine e costretti a guardarci dentro. Riflettiamo sul passato. Abbiamo passato abbastanza tempo con un genitore che stava invecchiando? Abbiamo espresso tutta la gratitudine per tutti i sacrifici che quel fratello ha fatto per noi? Abbiamo detto al nostro partner che lo amiamo perdutamente, non solo una volta ogni tanto, ma ogni singolo giorno? Così le perdite improvvise ci fanno guardare indietro ma ci costringono anche a guardare avanti, a riflettere sul presente e sul futuro, sul modo in cui viviamo le nostre vite e nutriamo le relazioni con chi è ancora con noi…..Riconosciamo il nostro essere mortali e ci viene ricordato che nel tempo che ci è dato di trascorrere sulla terra… quel che conta non è la ricchezza, lo status, il potere, la fama ma piuttosto quanto abbiamo amato e quale piccola parte abbiamo giocato nel migliorare le vite degli altri “
Quanto ha amato Ruggero, quanto ha lottato per migliorare le vite degli altri? È per questo che la sua morte è stata così lacerante che quasi oscura la pur splendida luce della sua vita.
È stata quel che si dice comunemente un “peccato”, uno spreco, una mancanza, una privazione… Ma chi è esente dal peccato, a chi non manca qualcosa? Mi viene in mente un parallelismo un po’ ardito con i disabili che incontro ogni giorno nel mio lavoro che ci ricordano tramite la loro disabilità i nostri personali deficit di amore, pazienza, gioia, semplicità… a chi non manca almeno una di queste ? il nostro peccato non è forse un’incompletezza? Eppure Dio la assume e la ama al punto da inviare il suo Figlio.
“Chi mi ama prenda la sua croce e mi segua” Cristo lo può dire perché lo ha fatto davvero… Don Ruggero lo ha fatto davvero giorno per giorno e mi viene da dire, da urlare che anche noi possiamo, basta prendere la croce non come un peso ma con ciò che amiamo al punto da volerlo abbracciare.
Vorrei testimoniarvi allora quello che i miei occhi hanno visto le mie mani hanno toccato e le mie orecchie hanno sentito… don Ruggero ha sempre voluto ricordarci e sottolineare che non sono la malattia, la croce, il peccato e nemmeno la morte il problema o il male… La meraviglia, la buona notizia che resta per quelli che l’hanno incontrato e conosciuto è che, nonostante tutto il male… il bene c’è, Dio c’è e il suo nome si chiama Amore.
Il punto allora è COME don Ruggero ha trasmesso tutto questo. Non riesco a pensare ad altro che al continuo rimando alla dimensione sacramentale e condivisa della vita. Un rimando non teorico ma INCARNATO in quel sorriso che spunta fuori da ogni angolo dei ricordi delle nostre vite, da ogni inquadratura delle foto che lo ritraggono, dal fatto che stasera non sono venuto qui da solo ma in comunione con questi amici di Padova. Potrei citare innumerevoli episodi personali o riportati… scelgo solo questo: alla veglia di preghiera per la sua morte, in duomo a Padova, venne invitata a parlare una famiglia brasiliana della comunità di Manaus.
Nelle parole sul dono della presenza di Ruggero in Brasile, uno squarcio rivelatore… il contadino brasiliano ci dice: “Grazie don Ruggero perché ci hai insegnato a preparare e a mangiare la pastasciutta….”
Non si tratta di banalizzare la catechesi. Don Ruggero aveva colto che la gioia nasce nelle piccole cose vissute alla presenza di quel Dio che diventa così tangibile che va celebrato e celebrato ASSIEME: in un giro in bici, spaccando legna, sugli sci, nelle nascite, nei matrimoni, nelle morti, in una camomilla alla sera e certamente intorno a un tavolo con la pastasciutta.
Se ci sono delle pentole in paradiso, don Ruggero là sta sicuramente preparando un po’ di spaghetti da condividere.
La lezione di questa sacramentalità richiamata quotidianamente sino al sacrificio ultimo di sé è un dono enorme che testimonia la fede in un modo accessibile a tutti. Grazie Ruggero: se non fosse per aver trascorso un pezzo di strada assieme a Te chissà quanti ora farebbero più fatica a credere. E noi chissà che pensieri avremmo fatto. Ma poi sulla porta di casa c’è il tuo volto, sulle nostre memorie ci sono le tue parole, salendo e scendendo dalle nostre auto ti vediamo sul santino che anche voi potrete prendere alle porte della chiesa e sentiamo la tua voce cantare “mia forza e mio canto è il Signore”.
Si resta allora muti di fronte la caratteristica ultima di questo Dio-amore-agape-carità che Tu hai portato in giro per il mondo: Un Dio presente a cui rendere solo grazie!
È allora la vita di don Ruggero che diviene martirio/testimonianza non la sua morte: una celebrazione fine a se stessa rischia di allontanarlo fosse pure per metterlo su un altare. La vita lo ha avvicinato e incarnato nei cuori delle persone dove rimarrà per sempre mentre tutto il resto sparirà: c’è solo, davvero, da rendere GRAZIE!
Estratto di una testimonianza di Domenico Rossato,
Duomo di Novara, 2011