30 anni sono una tappa molto strana nella vita di una persona…o almeno lo sono i miei.
Io la chiamerei seconda adolescenza. Hai tutta l’energia addosso e la voglia di cambiare il mondo di un diciannovenne appena diplomato; i piedi stano ancora nel bucolico limbo di quello che è la piena giovinezza e vuoi che ci restino il più a lungo possibile, le sensazioni nuove, tuttavia, vengono dalle spalle, che cominciano ad essere gentilmente appesantite di un peso che molti chiamano generalmente” responsabilità”. Definirla solo un peso tuttavia sarebbe riduttivo, più che altro credo sia la vita che va avanti, in tutto il suo intimo (e terrificante) splendore. Credo che i 30 anni forse siano il momento in cui un giovane per la prima volta si trova improvvisamente faccia a faccia con sé stesso, con quel che è diventato dopo gli anni degli studi e soprattutto con quello che vuole diventare.
Non è facile analizzare e affrontare il terzo della vita che è trascorso frenetico, senza concrete possibilità di decisone autonoma, ma credo sia necessario farlo, per capire se quella che hai intrapreso sia la strada giusta o se magari sia necessario un cambio di direzione su alcuni fronti. È un inventario questo, che devi fare, alla mia età o al termine degli studi, se vuoi continuare il tuo cammino nel migliore dei modi e avere meno rimpianti possibile un domani. Il rischio di correre veloci senza navigatore infatti è proprio quello di perdersi, talvolta irrimediabilmente.
E qual è il modo migliore di guardarsi se non attraverso lo specchio? Non parlo solo del tizio riflesso nella lastra di vetro cromata che guardi alla mattina prima di farti il caffè, parlo anche di quello che incontri quando vai al lavoro o a lezione, quando vai a fare la spesa, quando sei in colonna sulla tangenziale, quello strano personaggio a cui comunemente diamo il nome di “altro”.
Strano tipo questo qui, inutile negarlo, ma è pur vero che la definizione di “essere”, passa per forza per quella di “altro”. Così come infatti il buio è definito come l’assenza di luce, allora il “se ipsum”, l ”Io” , esiste solo in virtù dell’esistenza dell’ ”altro” e dell’esperienza che si ha di esso.
Chi è costui? Cosa vuole da noi? E cosa vogliamo noi da lui? Cosa può offrirci? Cosa possiamo noi offrire a lui e cosa no?
Incontrare l’altro, imparare a capirne paure, bisogni, desideri, e accogliere ciò che di buono ha egli da donarci, non è solo un nobile esercizio di benevolenza verso il prossimo fine a sé stesso, è un guardare se stessi da vicino, con occhi diversi. Ecco perché ho deciso, spinto da un sogno nel cassetto, rimasto finora mai del tutto compreso e ascoltato, di intraprendere il percorso Viaggiare per Condividere.
L’”altro”, che ci è stato presentato attraverso gli incontri, è il più “altro” di tutti gli “altri” che siamo abituati a vedere: ha passaporto, abitudini, speranze, portafogli, molto diversi dai nostri.
E se è pur vero che Cristo si manifesta a noi attraverso gli altri, allora incontrare gli altri significa incontrare Lui e stabilire con Lui un filo diretto. Insomma, come si suol dire, si prendono “due piccioni con una fava”, divertendosi per giunta.
Ora che il Covid19 ha fatto la sua entrata trionfale e che i viaggi per quest’anno sono stati sospesi (ma non annullati…), compreso quello in Perù dove sarei voluto andare, non posso non nascondere l’amarezza e la delusione tutta umana di un progetto “lasciato a metà”.
Confesso che non lo sto vivendo bene, ma una cosa è certa: se questo periodo di quarantena doveva insegnare qualcosa a tutti noi, a me personalmente ha insegnato a distinguere ciò che è realmente importante e ciò che non lo è, mi ha insegnato insomma ad apprezzare molto di più ciò che ho.
Certo, non mi è possibile far finta di non sentire il peso dell’insicurezza su tutti i fronti in cui siamo stati istantaneamente catapultati e che ci ha trasformati improvvisamente da missionari in terra di missione. Da estremo pianificatore quale sono sempre stato, posso tuttavia affermare di aver scoperto l’importanza del “carpe diem”, del vivere alla giornata e apprezzare ciò che di buono ci viene offerto e a trarre lezioni da quanto di faticoso ci accade. In tale contesto, non posso perciò dire se quel vecchio sogno rimasto nel cassetto si concretizzerà del tutto, non ci è data al momento la possibilità di far previsioni a lungo termine, ma, grazie al percorso finora compiuto, posso dire di averne finalmente compreso il bisogno inconscio da esso sotteso, anche senza partire.
In una società come la nostra, dominata da benessere e progresso, ma che insegna in modo rousseauiano a mettere in primo piano sempre e solo i propri bisogni e a trarre guadagno dalle altrui sconfitte, non è facile aprire il proprio cuore e mettersi in ascolto: non è da tutti, non era da me. Occorre perciò una spalla, un aiuto, per distaccarsi per un attimo dagli schemi in cui siamo cresciuti e che ci danno una seppur illusoria sicurezza, per lo più ormai crollata difronte allo starnuto di un semplice pipistrello.
In fondo, a pensarci bene, specie in questo periodo, siamo tutti un po’ Zaccheo, siamo tutti un po’ soffocati dalla folla, e abbiamo bisogno di un punto più alto per vedere meglio, di un albero su cui salire per guardare oltre e incontrare ciò che dimora nel nostro cuore: in questo, Viaggiare per Condividere, mi ha aiutato.
Ludovico S.
Essere e non fare!
Nella mia vita sono sempre stata abituata “a correre”, ad ottimizzare e velocizzare i tempi per cercare di fare il più possibile. Giornalmente seguivo una sorta di “to do list” che andavo a depennare al termine di ogni attività e appuntamento. Facevo tutto questo per non rinunciare a nulla e conciliare sempre il maggior numero di attività possibili in una giornata. Ma nelle cose che svolgevo non ero presente, e non vivevo il momento per quello che era e meritava di essere vissuto in quell’istante. Fermarsi, riflettere, assaporare e veramente esserci, era qualcosa che non avevo mai pensato potesse fare la differenza. Questa riflessione è emersa durante il percorso che ho intrapreso lo scorso anno con il progetto “Viaggiare per Condividere”. Forse può sembrare un concetto scontato ma, per il tipo di vita che conducevo, mi ha suscitato tante riflessioni.
Avevo deciso di partecipare all’anno di formazione missionaria giovanile perché era un tassello che desideravo fare come tante altre attività. Ma la frase che più volte veniva ripetuta dagli animatori era proprio “essere e non fare”: parole che mi hanno interrogato molto nei mesi successivi, e che mi hanno portato a rivedere un po’ di abitudini nella mia vita, ovvero una scala di valori diversa. E mentre meditavo su questi pensieri, una cosa nuova si faceva avanti: il virus COVID-19.
Il suo arrivo improvviso ci ha colto impreparati e ci ha costretto ad interrompere tutto, a rivedere le abitudini, a rallentare e ad assaporare quello che forse stava scorrendo prima in modo troppo veloce.
Così mi sono trovata da una parte l’insegnamento raccolto e custodito con tanto affetto dal percorso di formazione, e dall’altra la frenesia della vita interrotta da una pandemia. Tutto fermo, tutto bloccato o sospeso, come il viaggio, che era stato pianificato per il Perù.
La scelta del Perù come destinazione è stata un po’ casuale: le date del viaggio riuscivano a coincidere con le ferie al lavoro e pertanto, il desiderio di fare un’esperienza di condivisione, era indipendente dalla meta. Non avevo preferenze, il mio viaggio era già iniziato al primo incontro di “Viaggiare per Condividere”. Il viaggio fisico poteva svolgersi in qualsiasi Paese del mondo. Perché decidere?
Purtroppo però tutto è stato sospeso. Ho pensato di vivere questa notizia in modo molto sereno e pensare che forse non era il momento: “Viaggiare per Condividere” mi aveva già regalato molto. Ho riflettuto, ho meditato e pensato che il viaggio lo stavo già vivendo anche qui, con le persone che sono accanto a me in questo momento, che prima rientravano solamente in una lunga lista di cose da fare, e che non vivevo e assaporavo nell’autenticità di un incontro.
Se un domani avessi ancora la possibilità di partire, il mio viaggio proseguirebbe là, intanto, per quest’anno, è sospeso quello in Perù, ma si mette in moto e continua il viaggio iniziato qui.
Marta S.