Anziani… missionari a vita!

Beato chi non ha perduto la sua speranza

Dal 30 maggio all’1 giugno 2025 si celebra il Giubileo delle Famiglie, dei Bambini, dei Nonni e degli Anziani. Mentre il 27 luglio ricorre la V Giornata Mondiale dei Nonni e degli Anziani con tema tratto dal libro del Siracide: “Beato chi non ha perduto la sua speranza”.

Sono due date importanti, occasioni preziose per riflettere su come la presenza di nonni e anziani possa diventare un segno di speranza in ogni famiglia e comunità ecclesiale.

Prendersi cura degli anziani non è un compito solo dei figli, bensì della comunità cristiana tutta.

A livello legislativo, la nostra Costituzione non contempla una tutela specifica dei diritti delle persone anziane, esiste però la “Carta per i diritti delle persone anziane e i doveri della comunità” messa a punto dalla Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana del Ministero della salute. Uno degli articoli recita “La persona anziana ha il diritto di essere chiamata per nome e trattata con rispetto e tenerezza”.

I 5 doni dell’alleanza tra generazioni

Qualche anno fa papa Francesco ha dedicato una catechesi speciale agli anziani, “mai siamo stati così numerosi nella storia umana, un vero e proprio nuovo popolo”. Centrale è l’unità delle età della vita, l’alleanza tra le generazioni. “C’è amicizia fra le diverse età della vita o prevalgono la separazione e lo scarto?” si chiede papa Francesco. Se proviamo a leggerla facendo emergere i frutti di questa alleanza, individuiamo almeno 5 doni.

Il primo dono è il ritmo più lento. La vecchiaia impone tempi diversi e lontani dalla frenesia e dall’ossessione della velocità che cattura i nostri giorni. Vista da questo punto di vista, la lentezza non è negativa, anzi, apre a un’esistenza più ricca in umanità per tutti.

Il secondo dono è la saggezza. “Le nuove generazioni aspettano da noi vecchi, da noi anziani – spiega papa Francesco – una parola che sia profezia, che apra delle porte a nuove prospettive fuori da questo mondo spensierato della corruzione, dell’abitudine alle cose corrotte. La benedizione di Dio sceglie la vecchiaia, per questo carisma così umano e umanizzante”.

Il terzo dono è la trasmissione della fede. La testimonianza degli anziani, lucida e appassionata, è una benedizione insostituibile perché viene da una vita vissuta e rappresenta la memoria vivente di un popolo.

Il quarto dono è la sensibilità dell’anima. C’è bisogno di anziani con sensi spirituali vivi, capaci di riconoscere i segni di Dio in questo nostro mondo. “Quando perdi la sensibilità del tatto o del gusto, te ne accorgi subito. Invece, quella dell’anima, quella sensibilità dell’anima puoi ignorarla a lungo, vivere senza accorgerti che hai perso la sensibilità dell’anima”.

Il quinto dono è il magistero della fragilità. Con la vecchiaia si è meno autosufficienti e si dipende di più dagli altri e in questo incontro matura la fede. L’anziano che vive con consapevolezza la sua fragilità aiuta a riscoprire il valore della vita nella sua interezza.

Onorare il padre e la madre per restituire l’amore

A fronte di questi doni, “la giovinezza si rivela capace di ridare entusiasmo all’età matura, questo è essenziale: la giovinezza ridà entusiasmo agli anziani”. C’è un passo della catechesi che si sofferma sulla gratuità dell’amore che abbiamo ricevuto dai genitori, che a un certo punto diventano anziani. Come rispondere a questa gratuità?

Una diversa restituzione dell’amore: è la via dell’onorare chi ci ha preceduto, gli anziani – spiega papa Francesco – Questo amore speciale che si apre la strada nella forma dell’onore – cioè, tenerezza e rispetto allo stesso tempo – destinato all’età anziana è sigillato dal comandamento di Dio”. “Onora il padre e la madre” recita il 4° comandamento, un impegno solenne, “onora il padre la madre, affinché si prolunghino i giorni della tua vita sulla terra che il Signore Iddio tuo ti ha dato”.

Qualche anno fa Roberto Benigni faceva la sua straordinaria lezione sui comandamenti.

Avete notato che Dio usa il termine “onora”, non dice: ama il padre e la madre oppure rispetta il padre la madre. No, è molto più incisivo, dice: onora! È una parola precisa, che spicca, una parola pulita. L’ha scelta con cura. Onora nella Bibbia è un termine che si usa solo per Dio, si riserva a Dio. Onorare i genitori infatti è onorare un po’ anche Dio, che in fondo è il più genitori di tutti!”.

Onorare i genitori, nel testo biblico, vuol dire prendersi cura di loro soprattutto in un tempo in cui possono essere più fragili, quando ritornano bambini. Vuol dire stare un po’ con loro quando sono avanti con gli anni. Quando loro diventano bambini e noi diventiamo i loro genitori. Questo comandamento dice di prenderci cura di loro, di non lasciarli deperire, di aiutarli, di non trattarli superficialmente, di glorificarli un po’, di rendere loro un po’ di gloria”.

Onora il padre la madre vuol dire: non contraddirli, né attaccarli pubblicamente, andare loro incontro per accoglierli, non separarsi da loro senza avvisarli, farsi vivi spesso se abitano in una città diversa, non rivelarsi troppo ai genitori, perché essi si feriscono facilmente: sono un bersaglio facile, indifeso. Evitare comportamenti che potrebbero farli vergognare o atti che potrebbero loro causare un dispiacere come una lite fra fratelli o sorelle. Soprattutto il comandamento vuol dire: circondarli di attenzione!

Stare con loro, donare il proprio tempo, anche se ci sembra di non averne mai disponibile. Amare è proprio questo: amare vuol dire donare ciò che non si ha! Onorando il padre la madre, prendendoci cura di loro, si prolunga la vita dei nostri giorni. C’è, cioè, più vita nei nostri giorni, c’è più vita nella nostra vita, viviamo meglio, è più bella. La vita è più giusta e più intensa la rete si allarga ed è più piena e quindi più lunga”.

Ritorno alla missione

In una riflessione di qualche anno fa P. Gian Quinto Regazzoni, missionario dehoniano, scriveva: “Non esistono missionari in pensione”.

Si riferiva in particolare al momento in cui il missionario rientra dopo un periodo lungo di evangelizzazione. Non un “ritorno dalla missione”, bensì un “ritorno alla missione”, come lo chiama lui. Una riflessione che si può – e si deve – allargare anche a quei laici che hanno dedicato una vita al mondo delle missioni pur rimanendo a casa, magari organizzando mercatini e raccolte fondi, diffondendo l’accoglienza verso l’altro, dando il proprio contributo nell’associazionismo. E che dopo una vita, appunto, di impegno e passione, “vanno in pensione”. Ecco, a tutte queste persone diciamo che non esistono missionari in pensione perché la missione è per tutta la vita.

Di fronte alla missione esplicita – spiega p. Gian Quinto – si riconosce oggi la forza straordinaria di tanti missionari che hanno svolto una missione latente. Soprattutto coloro che hanno voluto servire la missione nella contemplazione e con la loro preghiera nascosta (santa Teresina)”. Essere missionario quindi, “come il Signore vuole, cioè secondo le mie possibilità e secondo le necessità e le esigenze che la realtà e la sua volontà richiedono”.

Ecco che gli anziani possono continuare ad essere testimoni preziosi di missione inter gentes, dentro la vita di tutti i giorni, nella propria comunità e nei rapporti quotidiani con l’altro. “Quando semplicemente riconosciamo la presenza dell’altro accanto a noi come un «regalo» reciproco, siamo pronti a essere «missionari a vita»: siamo un dono per l’altro e consideriamo l’altro come un dono per noi stessi”.

Non solo i nipoti e i giovani sono chiamati a farsi presenti nella vita degli anziani, ma anche anziani e nonni hanno una missione evangelizzatrice, di annuncio, di preghiera e di generazione dei giovani alla fede”. Papa Francesco

 A cura di Elena Cogo