Nessuna strada tracciata per la decarbonizzazione
L’evento mondiale rappresenta un’occasione unica per discutere di soluzioni climatiche, rafforzare il multilateralismo e promuovere il consenso sugli obiettivi globali per ridurre le emissioni di gas serra.
Sappiamo però che questi obiettivi rimangono purtroppo spesso disattesi e così è stato anche per la Cop30, che fin dalla partenza ha mostrato le sue criticità, in primis l’incapacità di coinvolgere davvero il mondo intero. Tra i grandi assenti, Paesi come Cina, India, Russia e per la prima volta gli Stati Uniti, che da quest’anno sono anche definitivamente fuori dall’Accordo di Parigi. In un contesto geopolitico frammentato, la Cop30 ha fatto emergere la mancanza di una leadership climatica capace di tracciare una direzione condivisa per l’uscita dai combustibili fossili.
Se l’obiettivo era di trasformare gli impegni in passi concreti, la Cop30 ha fallito perché non ha saputo dar vita a una strada comune e concreta per la transizione da petrolio, gas e carbone.
La famosa roadmap, che tutti aspettavano e che doveva essere il cuore del summit, caldeggiata dal presidente brasiliano Lula e sottoscritta da 82 Paesi di tutto il mondo. Non dall’Italia, unico grande Paese europeo che non ha firmato, insieme alla Polonia.
Il documento conclusivo “Global Mutirão” si è limitato a confermare gli accordi usciti da Dubai nel 2023, delegando alle iniziative lanciate in vista della prossima Cop31, il Global Implementation Accelerator e la Belém Mission to 1,5, il compito di indicare come uscire dai combustibili fossili.
Triplicati i contributi per i Paesi più colpiti dalla crisi climatica
Dalla Cop30 escono anche segnali positivi. I contributi ai Paesi poveri più colpiti dalla crisi climatica saranno triplicati entro il 2035, raggiungendo i 120 miliardi di dollari l’anno. I flussi finanziari serviranno sia per la mitigazione sia per l’adattamento. Come spiega la negoziatrice del Sudan, Lina Yassin “I nostri Paesi contribuiscono a meno dell’1% delle emissioni globali, eppure siamo i più colpiti dagli impatti climatici”. Il negoziatore della Mauritania, Abderrahmane Sidi El Moctar aggiunge: «Il dibattito – e i finanziamenti – sono rimasti molto più concentrati sulla mitigazione della crisi climatica, lasciando l’adattamento indietro. Anche se tutti gli obiettivi di mitigazione venissero raggiunti, arriverebbero troppo tardi per molte comunità che hanno bisogno di finanziamenti per l’adattamento ora, non tra anni».
Lanciata dal Brasile anche una nuova roadmap per la difesa delle foreste. La conservazione del “polmone verde” dell’Amazzonia è infatti tema centrale del cambiamento climatico, con benefici diretti per i popoli indigeni, ma in realtà per tutto il Pianeta.
Malgrado o come conseguenza dei grandi assenti, dalla Cop30 escono nuove alleanze geopolitiche tra quei Paesi che vedono nella decarbonizzazione un obiettivo concreto, con Colombia e Olanda a fare da capofila. Si accordano anche Turchia e Australia, entrambe candidate per ospitare la prossima Cop31, che si terrà ad Antalya in Turchia e sarà guidata dall’Australia.

La Colombia rilancia il Fossil Fuel Treaty
È la Colombia la protagonista del Fossil Fuel Treaty, l’iniziativa per un trattato globale di non-proliferazione dei combustibili fossili. E a questo proposito, insieme all’Olanda nel ruolo di co-organizzatrice, il Paese sudamericano annuncia la prima Conferenza internazionale per la giusta transizione dalle fonti fossili, che si terrà il 28-29 aprile 2026 a Santa Marta, città portuale situata nel nord della Colombia. Un’iniziativa senza precedenti per uno Stato che è il quinto produttore mondiale di carbone. La scelta di Santa Marta infatti non è casuale, visto il ruolo importante nelle esportazioni di combustibile. Per questo il messaggio è ancora più dirompente e ha bisogno più che mai della cooperazione internazionale.
Una consolazione, questa che viene dalla Colombia, per l’assenza della roadmap nel documento finale della Cop31. “Questa Cop non può concludersi senza una chiara, giusta ed equa roadmap per l’eliminazione graduale su scala globale delle fonti fossili – ha dichiarato Irene Vélez Torres, ministra dell’Ambiente e dello sviluppo sostenibile della Colombia – C’è un consenso crescente tra le persone del mondo. Noi governi abbiamo la responsabilità morale di farci portavoce della domanda popolare di giustizia climatica e di eliminazione dei combustibili fossili».

La voce dei popoli indigeni e delle chiese del Sud
Non solo leader mondiali, Belém in occasione della Cop30 ha accolto più di 50.000 persone in rappresentanza di circa 400 associazioni, movimenti popolari, chiese e attivisti: il cosiddetto “Cupola dos Povos”, il Vertice dei Popoli. Un grande movimento dal basso, si legge su Mondo e Missione, un crocevia di riflessioni, incontri, lotta e resistenza, dove sono presenti anche i popoli, i volti e le voci dell’Amazzonia, luogo simbolico e cruciale per le sorti del pianeta.
È questo il valore aggiunto della Cop30 che ha permesso di ascoltare la voce dei popoli indigeni e delle chiese del Sud. Se è vero che la foresta con la sua biodiversità, la flora e la fauna più ricche al mondo, è smisurata, smisurata è anche la sua devastazione. “Più di 50 milioni di ettari di terra sono stati barbaramente disboscati negli ultimi quarant’anni e svuotati delle popolazioni originarie per farne campi, piantagioni, allevamenti, miniere… Siamo vicini al punto di non ritorno. Tra 15 anni la grande foresta potrebbe non essere più in grado di rigenerarsi” (Nel cuore dell’Amazzonia, Mondo e Missione).
Alla Cop30 le chiese del Sud hanno ribadito con chiarezza la loro posizione, rifiutando la finanziarizzazione della natura che vede la trasformazione delle risorse naturali in merci a cui dare un prezzo. Rifiutando il “capitalismo verde”, l’attività mineraria e la monocoltura energetica che sacrificano comunità ed ecosistemi. Promuovendo invece un altro sistema, un altro modo di produzione, un altro stile di vita. Padre Dario Bossi, missionario comboniano e coordinatore della rete brasiliana Chiese e Miniere afferma: “Dobbiamo porre limiti alla produzione senza fine e all’ambizione di trasformare tutto in denaro. Si tratta di orientarci verso stili di vita in cui la sobrietà felice, o il vivere bene, sia l’obiettivo. Dove possiamo vivere con dignità senza l’ambizione del consumismo e dell’accumulo“.

Tra crisi climatica e sfruttamento
Vicino a Belém, nello Stato dell’Amapá, il più a nord-est del Brasile, i missionari del Pime hanno una lunga storia di presenza e di condivisione delle battaglie dei popoli indigeni. Padre Francesco Sorrentino, missionario del Pime, spiega a Mondo e Missione che ormai il 75% della popolazione vive in zone urbane. Migrazioni interne e urbanizzazione forzata fanno sì che le città crescano a dismisura in poco tempo, dando vita a insediamenti precari e senza servizi.
“Si svuota la foresta per poter continuare a sfruttarla impunemente”, denuncia padre Sisto Magro, altro missionario del Pime di origine trevigiana. Crisi climatiche vanno di pari passo con progetti indiscriminati di disboscamento, piantagioni sterminate di soia e mais per gli allevamenti intensivi, scavi minerari e mega dighe idroelettriche. Senza contare i garimpeiro, i cercatori d’oro, che sventrano il territorio con gli scavi.
Lo scorso anno, una terribile siccità ha prosciugato molti fiumi, preziosi per la vita e fondamentali come via di comunicazione. Più di 140 mila incendi, identificati tramite satellite, hanno distrutto migliaia di ettari di foresta e rilasciato enormi quantità di anidride carbonica, contribuendo alla degradazione del bioma amazzonico e, di conseguenza, delle condizioni di vita della gente.
Torniamo ad essere custodi del creato
“Il creato sta gridando attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo implacabile. Una persona su tre vive in situazione di grande vulnerabilità a causa di questi cambiamenti climatici. Per loro, il cambiamento climatico non è una minaccia lontana, e ignorare queste persone significa negare la nostra comune umanità”. Queste le parole di Papa Leone in un videomessaggio per la Cop30 alle Chiese particolari del Sud del Mondo.
C’è ancora tempo per rispettare l’Accordo di Parigi e mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5°C, anche se il tempo stringe. “L’Accordo di Parigi – continua Papa Leone – ha portato progressi concreti e continua a essere il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il pianeta. Ma dobbiamo essere onesti: non è l’Accordo che sta fallendo, ma siamo noi che stiamo fallendo nella nostra risposta. Quel che manca è la volontà politica di alcuni”.
Servono prese di posizione da parte dei leader del mondo, azioni climatiche più forti e sistemi economici più equi. “Siamo custodi del creato, non rivali per le sue spoglie”.
Una curiosità, cosa significa Global Mutirão? Il termine brasiliano si riferisce alla tradizione, propria dell’Amazzonia, di unire le forze per raggiungere un obiettivo comune. In origine veniva utilizzato in ambito agricolo o edile, ad esempio per costruire la scuola del villaggio. Sarà capace il nostro mondo di uno sforzo collettivo e volontario per custodire la casa comune?
A cura di Elena Cogo

