Il Giubileo dei detenuti

La speranza che non delude

L’attenzione alla vita dei detenuti è sempre stata centrale per papa Francesco, che nei suoi viaggi ha visitato una quindicina di carceri. Dal rito della Lavanda dei Piedi a 12 recluse del carcere femminile di Rebibbia, alla visita all’istituto di pena femminile della Giudecca a Venezia. Fino all’apertura della Porta Santa nel carcere romano “per offrire ai detenuti un segno concreto di vicinanza – come aveva spiegato il Pontefice in quell’occasione – perché sia per loro un simbolo che invita a guardare all’avvenire con speranza e con rinnovato impegno di vita”.

I detenuti, si legge nella Bolla di indizione, “sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto”. Per questo, proprio qui è fondamentale far risuonare il messaggio del Giubileo: “Non perdere la speranza. La speranza mai delude. Mai”.

La situazione delle carceri in Italia e nel mondo

Secondo il XXI rapporto sulle condizioni di detenzione curato dall’Associazione Antigone, al 30 aprile 2025 erano oltre 62.000 le persone detenute nelle carceri italiane, di cui più del 30% stranieri, 4% donne. A fronte di una capienza regolamentare di 51.280 posti, il tasso di affollamento ufficiale è pari al 121%, senza contare i posti non disponibili per inagibilità o ristrutturazioni. Il risultato è che il tasso reale supera di gran lunga quello ufficiale, raggiungendo, ad esempio a Milano San Vittore, la soglia del 220%. Per la prima volta nella storia, inoltre, il sovraffollamento interessa anche gli istituti penali per minorenni.

Da qui il titolo del dossier: “Senza respiro” che non si riferisce solo ai detenuti, ma anche a operatori e istituzioni sempre più in affanno. Il quadro che emerge è drammatico: oltre al sovraffollamento, carenza di personale, degrado degli edifici, diritti compressi.

C’è poi il tema, sempre attuale purtroppo, dei suicidi in carcere. Un numero impressionante – nel 2024 sono stati almeno 91, tra gennaio e maggio 2025, almeno 33 – che denota grande sofferenza e disagio.

Tra sovraffollamento cronico, torture, carenze sanitarie e detenzione arbitraria, la situazione delle carceri nel mondo non è migliore di quella del nostro Paese. Senza contare la pena di morte ancora praticata in alcuni Paesi. Secondo i dati più recenti di Amnesty International nel 2024 si sono registrate 1.518 esecuzioni in 15 Paesi. La maggior parte in Medio Oriente: 972 in Iran, 345 in Arabia Saudita, 63 in Iraq, 38 in Yemen. I numeri non tengono conto delle migliaia di persone che si ritiene siano state giustiziate in Cina, che rimane il principale esecutore al mondo, così come in Corea del Nord e Vietnam, paesi che non forniscono dati.

Il percorso rieducativo, un investimento per la società

L’articolo 27 della nostra Costituzione stabilisce che la pena “non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato”. E sono proprio i percorsi rieducativi che, insieme a forme di amnistia o di condono della pena, possono dare una svolta a questa drammatica situazione.

L’isolamento e la mancanza di stimoli fanno della detenzione un meccanismo di esclusione sociale più che di giustizia, viene meno la finalità rieducativa, fondamentale per il reinserimento nella società.

Ma in che cosa consiste il percorso rieducativo? Ad esempio, nell’istruzione scolastica, avere un titolo di studio, acquisire competenze di base o semplicemente migliorare l’alfabetizzazione; così come nella formazione professionale e nell’apprendimento di un lavoro: favorire il reinserimento lavorativo significa in molti casi ridurre la recidiva. Il tutto accanto ad attività culturali, artistiche e ricreative che aiutano a socializzare, a gestire le emozioni e a rafforzare la propria identità; a un supporto psicologico che prepari l’individuo al reinserimento nella comunità.

Un costo per la società? In realtà un investimento per il futuro, dal momento che i casi di recidiva per i detenuti che hanno avuto la possibilità di un inserimento professionale, secondo i dati del CNEL (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro), scendono fino al 2%, a fronte di una media ben superiore pari al 60%.

 

Esempi virtuosi dal mondo

Non occorre andare lontano per trovare esempi virtuosi in questo ambito. A Padova i detenuti del Due Palazzi possono seguire corsi di studio e di formazione al lavoro, sono impegnati in attività di assemblaggio e call center, possono partecipare alla redazione della rivista Ristretti Orizzonti o lavorare nell’ormai famoso laboratorio della Pasticceria Giotto. Solo in quest’ultimo settore, sono più di 200 fino a oggi i detenuti guidati in un percorso formativo e professionalizzante nell’arte pasticceria.

Anche in Europa e nel mondo, sono numerosi i sistemi carcerari che investono in programmi che vanno oltre la mera custodia e puntano al reinserimento sociale, alla riduzione della recidiva e al recupero della persona.

Murales nella prigione di Halden

Il carcere di Halden in Norvegia è considerato tra i penitenziari più “umani” del mondo. Applica un concetto semplice quanto rivoluzionario: la vita in carcere non deve essere diversa da quella fuori dal carcere, ma deve assomigliare il più possibile alla vita nella comunità, l’unica differenza è la mancanza di libertà di movimento. Fin dal primo giorno in carcere, i detenuti vengono preparati al loro reinserimento nella società.

È il secondo carcere più grande della Norvegia per popolazione detenuta, circa 250 persone, molti dei quali condannati per reati gravi. Pur essendo un carcere di massima sicurezza, non ci sono torrette di sorveglianza, fili spinati o recinzioni elettriche, le finestre non hanno le sbarre, non ci sono telecamere né nei corridoi, né nelle camere, nelle aule o nei laboratori. Gli agenti non hanno armi. La sicurezza è garantita da sistemi tecnologici e dall’organizzazione degli spazi e soprattutto è “dinamica”: gli agenti infatti vivono con i detenuti e hanno così la possibilità di gestire e prevenire potenziali conflitti relazionandosi direttamente con i detenuti. I detenuti a loro volta devono scegliere se impegnarsi nello studio o nel lavoro. All’interno del carcere vengono organizzati corsi di formazione scolastica e universitaria, percorsi lavorativi che interessano falegnameria, cucina, manutenzione, rilegatoria, progetti di grafica e stampa. Ci sono studi di registrazione professionale, dove i detenuti possono comporre musica, corsi per imparare a suonare uno strumento e per praticare sport, palestre, attività all’aperto per promuovere il benessere fisico e mentale.

Se quello di Halden è un caso eccezionale, forse per qualcuno un po’ estremo, ci sono altri esempi dai quali prendere spunti interessanti. In Spagna la Prigione di Aranjuez prevede 36 celle riservate alle famiglie con bambini fino all’età di tre anni. All’interno, le stanze contengono culle e spazi gioco e sono decorate in modo da risultare più accoglienti per i più piccoli. La soluzione offre ai detenuti la possibilità di passare del tempo con i propri figli nei primi anni di vita, di sperimentare l’essere genitore, di preservare il legame genitore-figlio, di garantire ai bambini la presenza di entrambe le figure genitoriali.

Le detenute della prigione femminile di San Diego a Cartagena in Colombia hanno la possibilità di lavorare come cuoche, cameriere e lavapiatti in un ristorante aperto in uno dei cortili interni della struttura carceraria.

E chiudiamo questa carrellata con l’Africa: il carcere di Luzira in Uganda, pur con grossi problemi di sovraffollamento, è diventato un modello per quel che riguarda il rispetto dei diritti individuali e gli standard di vita dei detenuti. L’obiettivo è combattere l’apatia, valorizzare al meglio il periodo detentivo, creare un clima disteso e collaborativo. Per questo sono stati avviati percorsi educativi, dall’alfabetizzazione all’università, e ricreativi, tra cui corsi di teatro, musica, pittura, scultura, stage formativi, opportunità di integrazione lavorativa, attività atletiche e competizioni agonistiche. Tra queste, il campionato di calcio che si svolge oramai da quindici anni all’interno delle mura carcerarie.

Non mancano le criticità, il tema è complesso e non ci sono ricette semplici. C’è però un dato di fatto che ogni volta viene confermato: promuovere un percorso rieducativo, che favorisca il reinserimento nella società, abbassa notevolmente il tasso di recidiva. Non solo, riconosce dignità al detenuto e rende noi più umani.

 

Scarabocchiato 

Ho scarabocchiato tutto;

l’amore, il corpo, il futuro.

Ho scarabocchiato tutto sperando che qualcuno sapesse guardare oltre,

oltre il destino, il destino di quelli come me,

il destino di una vita non vissuta che fatica a ruggire con un senso.

Ho scarabocchiato tutto partendo dai fogli

i fogli che sono divenuti i miei soldati.

I testimoni della mia ribellione,

ed ho scarabocchiato tutto sì! Ma ancora sogno di imparare a disegnare l’amore.

Poesie di Edmond dal carcere di Rebibbia, Rivista clanDestino

A cura di Elena Cogo