I fratelli e le sorelle più amati

Abituati e rassegnati alla povertà

In un mondo sempre più globalizzato, interconnesso e tecnologicamente avanzato, la povertà continua a rappresentare una delle sfide più drammatiche. Secondo gli ultimi dati, il 10% della popolazione, quasi 700 milioni di persone, vive con meno di 2,15 $ al giorno, la soglia della povertà estrema stabilita dalla Banca Mondiale. Il 44% della popolazione, oltre 3,5 miliardi di persone, rientra invece nella fascia di povertà moderata, calcolata in 6,85 $ al giorno. In compenso la ricchezza complessiva dei miliardari è aumentata da 13.000 a 15.000 miliardi in un solo anno.

Con questi numeri che si ripetono uguali, anno dopo anno, il rischio di abituarsi e rassegnarsi effettivamente c’è. Ma non possiamo distogliere lo sguardo… quale sguardo?

Quale sguardo sui poveri

Qual è il nostro sguardo sui poveri? Uno sguardo distante. I poveri sono in qualche paese dell’Africa, in Asia, nel terzo mondo, comunque lontani da me, non mi toccano, non mi riguardano. Uno sguardo che colpevolizza. Se sei povero, forse un po’ te la sei cercata. Non ti sei impegnato abbastanza per trovare un lavoro, per rialzarti quando sei caduto, non hai lottato. Io ho lavorato duro per avere quello che ho, me lo sono meritato. Uno sguardo di paura. In fondo, dentro di me, so che non è impossibile diventare povero. Basta che qualcosa vada storto, una scelta sbagliata, un periodo no su più fronti.  Uno sguardo imbarazzato, che ci fa sentire a disagio: è difficile guardare i poveri quando essi rappresentano le ingiustizie del mondo, il fallimento del sistema, la responsabilità collettiva. Uno sguardo di pietà, un’opportunità per sentirsi migliori, per rispondere alla nostra coscienza e fare quel poco di beneficenza che ci fa stare bene.

Quanti sguardi, tutti diversi. Ma il risultato è che spesso i poveri rimangono invisibili agli occhi della società, non perché lo siano, ma forse perché è meglio non guardare, ignorare, è più facile distogliere lo sguardo appunto.

I poveri al centro dell’opera pastorale

Nel Messaggio per la 9ª Giornata Mondiale dei Poveri del 16 novembre, che quest’anno coincide con il Giubileo dei Poveri, Papa Leone XIV ribadisce l’obiettivo di questa celebrazione: “ricordare alle nostre comunità che i poveri sono al centro dell’intera opera pastorale”.

Il povero, proprio perché nella sua situazione, non può contare sulle sicurezze che vengono dall’avere e dal possesso, ma deve riporre la sua speranza altrove. In questo senso diventa testimone di come, dinnanzi a quello che è davvero importante ed essenziale, il valore delle ricchezze viene ridimensionato.

I poveri sono “i fratelli e le sorelle più amati – scrive papa Leone XIV – perché ognuno di loro, con la sua esistenza e anche con le parole e la sapienza di cui è portatore, provoca a toccare con mano la verità del Vangelo” e a trovare sempre nuove forme per viverlo concretamente ogni giorno.

Come i frutti della terra che Dio ha creato per tutti gli uomini e le donne, così i beni essenziali, la casa, il cibo, le cure, il lavoro, l’istruzione, devono essere equamente accessibili a tutti. “Aiutare il povero è infatti questione di giustizia, prima che di carità”.

Questione di disuguaglianza

Ciò che rende la povertà più ingiusta è proprio il fatto che non dipende dalla scarsità delle risorse, ma dalla disuguaglianza. La povertà oggi non è più inevitabile. Se l’1% più ricco della popolazione mondiale possiede più della metà della ricchezza globale, significa che c’è un problema di maldistribuzione della ricchezza.

In alcune città del mondo, il confine tra poveri e ricchi è visibile e tangibile, quanto brutale: a volte basta attraversare una strada per passare dal lusso alla disperazione. A Lagos, in Nigeria, grattacieli e ville si affacciano su quartieri privi di acqua corrente, elettricità stabile e fognature. A Johannesburg è l’autostrada M1 a dividere i palazzi luccicanti dalle baracche, tanto che i lavoratori dell’area ricca che vivono nella baraccopoli possono in alcuni casi raggiungere a piedi il posto di lavoro. E così succede nella metropoli brasiliana di San Paolo. Poveri e ricchi sono due mondi che si sfiorano ogni giorno, ma raramente si incontrano davvero.

Questa consapevolezza non ci rende meno rassegnati, eppure se è vero che la povertà dipende dalla disuguaglianza, significa che può essere combattuta. E in effetti nel lungo periodo il trend rileva una diminuzione, seppur lenta, del tasso globale di povertà estrema. Dove ci sono investimenti in educazione, salute, infrastrutture, e dove si garantiscono diritti reali, le comunità crescono.

 Lo sguardo che ama

Allora forse il primo passo è proprio quello di cambiare sguardo. Consapevoli del fatto che non possiamo e non vogliamo distoglierlo dal problema, perché così facendo nulla cambierà mai.

Possiamo ispirarci allo sguardo di Gesù.  Uno sguardo di amore. I suoi occhi fissano, accarezzano, sanano. Entrano in profondità e stabiliscono un contatto. Esprimono misericordia e compassione, danno dignità, ma soprattutto amore.

Il primo passo dunque è vedere. Non come spettatori pietosi, ma come cittadini del mondo, consapevoli che i diritti sono per tutti. Riconoscere ogni persona come essere umano con la propria storia e dignità, essere capaci di ascoltare con rispetto, di provare empatia, di agire con giustizia.

Finché i poveri saranno visti come altri, distanti, diversi, non cambierà nulla. È necessario riconoscere che la povertà riguarda tutti e che c’è bisogno di un cambiamento radicale nel sistema, nella ridistribuzione delle risorse e delle possibilità.

Accanto a politiche pubbliche efficaci, senza dubbio necessarie e urgenti, basate sulla redistribuzione delle risorse, sull’inclusione sociale, sull’accesso universale ai servizi, anche le scelte personali possono fare la differenza. Consumi più consapevoli, informazione e conoscenza, solidarietà, volontariato e soprattutto una cultura che guardi agli altri in modo nuovo. Solo in un mondo che si prende cura dei più fragili possiamo davvero parlare di progresso.

A cura di Elena Cogo