“Le loro attese non siano vanificate da pregiudizi e chiusure – si legge nella Bolla Spes non confundit – l’accoglienza si accompagni con la responsabilità, affinché a nessuno sia negato il diritto di costruire un futuro migliore. (…) Siano garantiti la sicurezza e l’accesso al lavoro e all’istruzione, strumenti necessari per il loro inserimento nel nuovo contesto sociale”.
Farsi compagni di viaggio per portare a queste persone segni di speranza e allo stesso tempo per accogliere la loro testimonianza, in uno scambio reciproco arricchente.
In questa direzione va anche il tema scelto per la 111ª Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (GMMR) che quest’anno coincide con il Giubileo del Migrante, il 4 e 5 ottobre – che tra l’altro è anche la data del Giubileo del mondo missionario!
Il titolo “Migranti, missionari di speranza” vuole evidenziare il coraggio e la tenacia di queste persone che per raggiungere la felicità sono disposte a lasciare tutto, a partire e a oltrepassare i confini, affidandosi totalmente a Dio. Nelle comunità in cui vengono accolti, migranti e rifugiati contribuiscono spesso a rivitalizzare la fede promuovendo un dialogo interreligioso basato su valori comuni.
L’accordo Italia-Albania, apripista per l’Europa
Parlando di migranti, tema attuale e controverso è l’accordo Italia-Albania. Notizia di pochi giorni fa è che il decreto Albania è legge: è stata approvata infatti in via definitiva la legge che converte il cosiddetto decreto sul trasferimento dei migranti nei centri di Shengjin e di Gjader. Non solo, grazie a delle modifiche introdotte durante l’iter, il provvedimento amplia i casi che consentono il trasferimento coatto degli stranieri anche a coloro che sono in attesa di espulsione.
Accanto a questo, diverse sentenze della Corte di Cassazione si susseguono con pareri diversi e a volte discordanti. Se con una sentenza del mese scorso il centro albanese veniva equiparato a un qualsiasi altro Cpr italiano, l’ultima sentenza in ordine di tempo rimanda la questione alla Corte europea chiedendo che siano i giudici UE a esprimersi sulla compatibilità del diritto comunitario con il decreto che ha trasformato gli hotspot in Cpr.
E mentre l’Italia si compiace per l’ideazione di questo modello, apripista per altri paesi, e l’Europa guarda all’accordo con paesi terzi come a una soluzione alternativa per il rimpatrio di irregolari, nessuno sembra preoccuparsi né della salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti, né di quello che potrebbe succedere a lungo termine nei paesi terzi.
Che fine faremo?
Questa “finta” soluzione non piace a chi lavora in prima linea nel mondo delle migrazioni, a chi conosce bene diritti e dinamiche, a chi considera i migranti prima di tutto come persone. Non piace ad esempio al Tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), che riunisce oltre 30 organizzazioni, tra cui Amnesty International, Centro Astalli, Missionari Comboniani, Emergency, Fondazione Migrantes, Medici Senza Frontiere, Oxfam, tutte impegnate nel campo della protezione internazionale, del diritto dell’immigrazione e delle politiche migratorie. “Questo sistema di confinamento extraterritoriale è – secondo il TAI – opaco, privo di garanzie e incompatibile con i principi dello Stato di diritto”. Delegazioni del TAI hanno fatto diversi sopralluoghi nei centri in Albania dalla loro creazione a oggi e dai colloqui avuti con le persone trattenute sono emerse le diverse criticità.
Nessuno era stato informato preventivamente del trasferimento. Le persone sono state prelevate all’improvviso dai CPR in Italia e condotte al porto di Brindisi, hanno viaggiato con fascette di plastica ai polsi, rimosse solo poco prima dello sbarco al porto di Shengjin, e quindi fuori dallo sguardo dei media. Emerge inoltre che si verificano di frequente tensioni all’interno del centro e atti di autolesionismo: in 34 giorni si sono contati 42 eventi critici che hanno messo a rischio l’incolumità delle persone trattenute.
“La violenza simbolica e materiale di questo sistema – si legge nel rapporto del TAI – è aggravata dal fatto che molte di queste persone vivono in Italia da tempo: tra le persone ascoltate, c’è chi ha figli e coniugi sul territorio italiano, chi ha lavorato per anni in Italia perdendo il documento in seguito alla perdita di impiego. Sono diverse, inoltre, le persone sopravvissute a gravi violenze avvenute durante il percorso migratorio, che presentano dunque un alto profilo di vulnerabilità. Nei loro racconti emergono parole di smarrimento e paura: «qui si perde la testa», «mi sembra di stare in un canile», «che fine faremo?».
Ecco perché il TAI parla di questa operazione come di una sospensione della legalità, oltre che di una violazione dei diritti fondamentali.
Le migrazioni che nascono dai conflitti
Secondo l’ultimo Rapporto Mondiale sulle Migrazioni dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) a maggio 2024 il numero stimato di migranti internazionali in tutto il mondo era di 281 milioni. A differenza del quadro che viene fornito dai media, la maggior parte della migrazione è regolare, sicura e avviene a livello regionale, direttamente collegata a opportunità e mezzi di sussistenza. Del resto, le migrazioni fanno parte della storia dell’umanità, ci sono state da quando è nato l’uomo e sempre ci saranno.
Un dato interessante che emerge invece dal rapporto è quello che riguarda le migrazioni forzate che si verificano quando le persone sono costrette a lasciare la propria terra contro la propria volontà, semplicemente per sopravvivere. A fine 2022 erano 117 milioni le persone in movimento a causa di conflitti, violenze, disastri. È il numero più alto mai registrato nei tempi moderni, che dimostra quanto sia urgente affrontare le crisi alla base di questo fenomeno. In primis mettendo fine alle guerre.
Le migrazioni nascono dai conflitti: la conferma viene anche dall’ultima edizione dell’International Migrant Stock della Population Division delle Nazioni Unite. Ad aumentare in modo significativo negli ultimi anni sono rifugiati, richiedenti asilo e persone sotto protezione internazionale, a causa di crisi umanitarie in diversi paesi del mondo. Queste persone rappresenterebbero circa un sesto di tutti i migranti del mondo.
Anche l’Europa, che tra le diverse aree geografiche ha il numero più elevato di migranti internazionali, ha registrato dal 2020 l’incremento più alto di migranti proprio per effetto della guerra in Ucraina. Che secondo le stime dell’UNHCR ha creato quasi 6,5 milioni di rifugiati costretti a cercare riparo fuori dal loro Paese.

Disegno di uno degli studenti della classe III F dell’Istituto Comprensivo Maria Capozzi di Roma
Se io fossi lui
Volevo concludere queste brevi riflessioni con una testimonianza. Se cercate “testimonianze di migranti” su Google ne escono un’infinità. Ne ho lette diverse, correndo veloce tra le righe quando i toni diventavano troppo forti, crudi, drammatici. Testimonianze che forse non ci colpiscono neanche più, abituati come siamo alla violenza.
E invece mi ha colpito il lavoro di una classe, la III F dell’Istituto Comprensivo Maria Capozzi di Roma, che qualche anno fa ha realizzato un laboratorio di scrittura intitolato “Diciannove ragazzi raccontano i migranti”. I ragazzi, dopo aver affrontato il tema dei migranti con la loro professoressa di italiano, hanno provato a immedesimarsi in quelle persone, “ovviamente non sappiamo esattamente le sensazioni che i migranti provano nel compiere questi viaggi – spiegano – ma abbiamo provato a metterci nei loro panni e a capire e trascrivere le loro emozioni”.
Mi è piaciuto questo tentativo, tipico dei ragazzi molto più che degli adulti, di immaginare una realtà diversa. Se io fossi loro, se la mia mamma un giorno mi avesse chiesto di fuggire lontano, se io mi fossi trovato in un gommone con tanta altra gente senza cibo, … che cosa avrei provato? Questi racconti semplici sono la risposta a queste domande, ma sono anche il tentativo di dare un finale diverso alla realtà a volte così dura. Vi lascio con uno di questi racconti, da parte di ragazzi che ancora osano sperare!
IL VIAGGIO DI ABDUL – di Jacklyn della classe III F
Era un giorno come gli altri, Abdul si svegliò con la mamma che gli diceva di alzarsi. Era mattina presto e la mamma lo portò fino a un ponte e proprio davanti a questo ponte c’era una barca. La barca era già molto piena, c’erano più di cento persone, però la mamma riuscì a mettere lei e Abdul nella barca. Era ancora mattina presto e Abdul non riusciva a dormire sia per colpa della sete sia per colpa delle persone nella barca che non stavano mai zitte. Passarono un po’ di giorni e Abdul notò che la gente sulla nave continuava a diminuire, soprattutto bambini e anziani. Abdul non sapeva neanche quanto tempo fosse passato, però notò che la mamma si era messa a piangere. Lui non capiva il perché e quale fosse la causa della sua tristezza, quello che Abdul non sapeva era che le persone a capo della barca l’avevano minacciata. La mamma tornò accanto ad Abdul e in lontananza si vedeva il posto in cui dovevano andare però purtroppo la barca cominciò ad affondare. Quindi la madre mise il giubbotto salvagente a suo figlio e rimasero nella barca finché i soccorsi li videro e li salvarono. Gli diedero subito una coperta, da bere e da mangiare. Li portarono in un centro immigrati, gli diedero due letti dove si addormentarono subito, visto che non dormivano su un vero letto da molto tempo. Il giorno dopo si svegliarono, andarono a fare colazione e la madre provò a imparare la lingua del posto, l’italiano. Pian piano riuscì a imparare la lingua, mentre il figliò incominciò la scuola, però, visto che si trovava in un posto dove si parlava una lingua diversa, fu costretto a fare dei corsi per imparare bene la nuova lingua. La mamma si mise alla ricerca di un lavoro e per fortuna riuscì a essere assunta in un albergo. Finalmente trovò anche una sua casa dove andare a vivere con suo figlio. La casa era piccola ma abbastanza grande per loro due, il paese dove abitavano si chiamava Nettuno. Iniziarono a vivere una vita normale anche se a volte discriminati per il colore della loro pelle e la loro cultura.
Abdul ha dovuto sopportare le prese in giro dei compagni per l’accento che aveva quando parlava, ma era comunque molto bravo a scuola, imparava in fretta anche ad ambientarsi. All’età di ventisei anni si è sposato con Giulia, un’infermiera dell’ospedale dove lavorava come medico. Una delle prime cose che ha fatto è stata quella di comprare una casa nuova e grande a sua mamma per ringraziarla di tutto quello che aveva fatto per lui. Poi insieme hanno fatto tanti viaggi e hanno scoperto la loro voglia di vivere. Hanno avuto due figli e Abdul è diventato famoso per aver salvato con il suo lavoro tante persone.
A cura di Elena Cogo
Foto di copertina un particolare del monumento al Migrante “Angel Unwares” in Piazza San Pietro