Per fare tutto, ci vuole un fiore! Testimonianza di Filippo, seminarista

Nel 1974 Sergio Endrigo musicava una semplice e geniale filastrocca di Gianni Rodari, destinata a diventare una canzone amatissima da grandi e piccini, nota con il titolo di “Per fare un albero”, o anche “Ci vuole un fiore”.

Guardando al mio percorso di formazione mi viene facile parafrasare canticchiando: “Per fare un prete, che ci vuole?”. Quando avevo vent’anni, al primo incontro in Seminario, il rettore del tempo, don Giampaolo Dianin, commentò per me e per i miei tre compagni di classe dell’epoca il Vangelo di Marco 3, 13-19, paragonando il Seminario al monte su cui Gesù chiama a salire quelli che vuole perché stiano con Lui. Concludeva la riflessione più o meno così: “Possiamo legittimamente porci alcune domande: è ancora attuale il Seminario? È il giusto e miglior percorso formativo per un giovane di oggi che domani diventerà un presbitero? Noi sappiamo una cosa: è quello che oggi la Chiesa ci chiede, per cui lo viviamo volentieri”. Quando ero al quarto anno del cammino del Seminario, a me e ai miei compagni è stato chiesto di aggiungere un anno, durante o alla fine del percorso, da investire in un’esperienza personale prima dell’ordinazione. E fu così che, da questa finestra di tempo da sfruttare al meglio, dal discernimento con padre spirituale e rettore, dalla preghiera e anche da alcune circostanze contingenti, è nato il progetto di vivere quest’anno quaggiù in Brasile, da dove sto scrivendo.

Ora è già passata la metà dei miei giorni previsti da questa parte dell’emisfero, e forse è ancora presto per tirare un bilancio complessivo dell’anno, ma sicuramente non troppo presto per testimoniare quanto valga la pena vivere per Dio, seguendolo laddove chiama con la convinzione che Lui, che è buono, vuole il meglio per noi, suoi figli.

Perciò, ripercorro volentieri con voi alcune tra le cose ben vivide nel mio animo grazie all’esperienza di quest’anno, per rendere grazie al Signore, così buono, e moltiplicare il bene ricevuto!

In primo luogo, ho sperimentato una grande cura di Dio attraverso la sua Chiesa: potrei qui fare un elenco molto lungo di nomi a cui va tutta la mia gratitudine più pura, ma sia per rispetto, sia per non incorrere nel rischio di dimenticare qualcuno, non mi permetto. Mi limito a condividere la gioia grande di essermi sentito ascoltato, riconosciuto anche pubblicamente, supportato e inviato dalla mia Chiesa particolare. Non è una cosa da poco.

Sempre rimanendo in ambito ecclesiale, ho potuto conoscere e collaborare con altre Chiese particolari: infatti, già da settembre dell’anno scorso ho incontrato cristiani di altre provenienze al corso del Centro Unitario Missionario di Verona, altri ancora qui in Brasile. Questa comunione che viene da Gesù e abbraccia tutto il mondo sta nutrendo la mia fede e il modo in cui mi pongo per abitare la Chiesa.

Poi ho potuto gustare la bellezza non solo di visitare, ma anche di essere visitato. In particolare tre mesi fa, con l’arrivo per due settimane dei miei compagni Marco, Tommaso, don Alessandro e don Marco: ancora vivo la gioia di quell’incontro! Sapevo che c’era l’idea di venire, ma non mi aspettavo che sarebbe stata realizzata…C’è un oceano in mezzo tra noi e casa…! Per noi, per i nostri cammini e per il nostro ministero ti chiedo anche, caro lettore, una preghiera.

Ho ricevuto l’accoglienza calorosa di chi ha poco a livello materiale, solo perché venivo nel nome del Signore. Mi ha toccato il cuore sperimentare questa benedizione.

Lontano dall’Italia, ho potuto incontrare alcuni miei limiti, sia dovendo apprendere una nuova lingua e cultura, sia addestrando la pazienza e l’abitare serenamente un certo tipo di solitudine. Benedetto il Signore, pertanto e per tanto!

Per concludere come abbiamo iniziato, dunque, e per rimanere dentro la metafora poetica e canora: “Per fare un prete, che ci vuole? Ci vuole un fiore!”