Ci sono racconti che non hanno bisogno di premesse. Perché i frutti della missione raccontati dal gruppo di Missio Km 0 stavolta sono frutti che hanno un nome e cognome; sono frutti che sono anche nati fisicamente in missione; sono frutti che oggi con i loro occhi che brillano di entusiasmo e stupore ci raccontano tutto il bello che un’esperienza missionaria fa vivere. Lasciamo spazio a questi tre giovani della diocesi di Padova, che sono tornati laddove tutto è partito con i loro genitori più di quindici anni fa…
Siamo Samuele, Gianluca e Anna Pellichero della diocesi di Padova. Avevamo già fatto capolino nel Noticum di maggio 2023, quando i nostri genitori Nicola e Angela avevano raccontato un po’ dei frutti dei tre anni di missione vissuti come laici fidei donum a Quito (Ecuador) dal 2006 al 2009. Succede poi che a febbraio 2024 in famiglia prende forma un sogno inaspettato: tornare tutti insieme in Ecuador dopo 15 anni dal rientro dell’esperienza missionaria.
La notte del 2 settembre (compleanno di Samu) ha inizio quel magnifico viaggio dall’altra parte del mondo che ci piace chiamare “Ecuador: ritorno al futuro!”. Trascorse tre settimane all’insegna di incontri arricchenti, panorami incredibili, storie di vita, persone, natura e chi più ne ha più ne metta, torniamo in quel di Padova il 23 settembre con le valigie ricolme di ricordi da portare nel cuore. Ma facciamo un passo alla volta e lasciamo la parola ad Anna, la più piccolina.
Sono Anna, ho 17 anni e sono nata in Ecuador dove ho vissuto fino ai 2 anni. Da sempre i miei genitori, fratelli e amici vari parlavano di questo paese a cui ero legata, mostrandomi foto su foto, ma io l’ho sempre sentito come qualcosa di molto lontano, non solo dal punto di vista geografico ma soprattutto da quello emotivo. Partire per questo viaggio è stato un vero e proprio sogno. Ho rinnovato la “
cedula”, cioè la carta d’identità, ho scoperto l’accoglienza di questo paese e ho condiviso momenti con le persone che mi avevano tenuta tra le loro braccia quando ero piccolina.
Per farvi capire meglio la cultura ecuatoriana eccovi un piccolo esempio: domenica 8 settembre abbiamo festeggiato il mio compleanno con le persone della parrocchia di San Lucas a Carcelen Bajo; sono stata accolta da tutte le persone con grandi sorrisi e una ricca tavolata di cibo tradizionale che avevano preparato senza badare a spese, nonostante le loro difficoltà economiche. È stato un pomeriggio veramente pieno di emozioni tra risate, lacrime di gioia e di commozione, aneddoti sulla mia infanzia e un’inaspettata piñata.
Sono Gianluca, ho 21 anni e studio filosofia all’università di Padova. Avendo fatto la scuola materna e il “primero de básica” in Ecuador posso dire con fierezza di aver vissuto una parte della mia infanzia con la testa fra le nuvole a 2800 mt sul livello del mare in quel di Quito. Tornare dopo ben 15 anni è stato un turbinio di emozioni che faccio fatica a mettere per iscritto. Mi sono sento un curioso forestiero all’avanscoperta, ma al tempo stesso a casa; accolto dai baci e abbracci delle tante persone che abbiamo incontrato e rincontrato, accolto da una cultura diversa dalla mia ma accomunata da un senso di condivisione e fraternità, accolto dalle case ammassate l’una sull’altra e dalle distese di nulla per chilometri e chilometri sulle Ande, accolto dall’acqua, il cielo e la terra che in questo paese benedetto da Dio si fondono in panorami mozzafiato da cui sgorga la bellezza del Creato.
Avrei tante, forse troppe, cose da dire e non ho idea di come dirle. Da questo viaggio del ritorno mi porto a casa la riscoperta di un mondo che avevo assaporato con gli occhi di un bambino, il cambio di prospettiva molto più consapevole e maturo a fronte della complessa e a tratti paradossale realtà. Sarò sempre grato ai miei genitori per avermi educato concretamente alla diversità, all’interculturalità e alla fraternità globale; per non avermela insegnata entro le pareti di casa, ma avermela fatta vivere nell’incontro con l’Altro come fonte di arricchimento reciproco.
“Yo lloré porque no tenía zapatos hasta que no vi un niño que no tenía pies“. (Piansi perché non avevo scarpe, fino a che non ho visto un bambino che non aveva piedi, ndr). Penso che questa frase letta alla Capilla del Hombre del pittore ecuadoriano Guayasamin sia la più poetica e drammattica sintesi dell’esigenza di un cambio di prospettiva necessario. Sento forte la spinta a scendere da quel piedistallo che ti fa guardare dall’alto verso il basso, a mettermi al fianco degli altri come testimoniano le tante persone incontrate che per amore gratuito si me9ono al servizio degli altri.
Sono Samuele, ho 23 anni e sono il più grande dei tre fratelli. Ho vissuto in Ecuador il periodo della mia vita dai 5 agli 8 anni, durante i quali mi sono sentito ecuatoriano anche io. Appena arrivato sono stato accolto a braccia aperte dai miei compagni di scuola, con i quali, oltre a giocare molto, ho imparato a leggere e a scrivere insieme. I miei ricordi di quegli anni sono tanti e tutti belli, e tornare lì dopo 15 anni è stato emozionante ma allo stesso tempo difficile. Rivedere i luoghi e le persone con cui sono cresciuto mi ha riempito di gioia, ma, come ha già detto anche Gian, vedere la realtà circostante con gli occhi di un adulto e non più con quelli da bambino è stato un colpo allo stomaco difficile da digerire. Una parte bellissima di questo viaggio sono state le mille sfaccettature ambientali e naturalistiche di cui l’Ecuador è custode. Per me, che sono laureato in Scienze forestali e ambientali, è stato come immergermi nel paradiso terrestre.
Le bellezze che abbiamo ammirato sono tante e ci vorrebbe troppo tempo per raccontarle tutte, ma penso che alcune meritano di essere perlomeno citate: la Laguna de Cuicocha, famosa per le due isole che si trovano al centro; la Laguna Quilotoa, un lago di origine vulcanica a 3900 m s.l.m. che si fonde con l’azzurro limpido del cielo; i vulcani Cotopaxi e Chimborazo, di cui la vetta di quest’ultimo è il punto più distante dal centro della Terra; la foresta di Mindo con le sue innumerevoli cascate, in cui, per via di un microclima unico nel suo genere, si assiste a un’esplosione di biodiversità e infine Lei, l’Amazonìa, la foresta che da tanto tempo sognavo di vedere. In particolare, i giorni in Amazzonia sono stati incredibili e mi hanno dato la possibilità di sentirmi parte di questa natura e poterla assaporare, mettendomi a nudo e lasciandomi trasportare da essa.
Nelle nostre scorribande in lungo e in largo al paese abbiamo, inoltre, avuto modo di conoscere vari progetti sociali e le persone che ne fanno parte: i progetti di A.S.A (Asociaciòn Solidariedad y Acciòn) con cui al suo tempo avevano collaborato i nostri genitori; l’ospedale C. Benati a Zumbahua gestito dalla famiglia bresciana di Mirco e Maria dell’Operazione Mato Grosso; i progetti di economia solidale a Salinas de Guaranda dove sono presenti Emanuele e Anna del Gruppone missionario di Treviso e il salesiano Padre Antonio Polo; un progetto di accoglienza per i rifugiati colombiani e venezuelani gestito dai gesuiti; il progetto di turismo comunitario di Shandia nei pressi di Tena e, dulcis in fundo, la storia di vita al servizio degli impoveriti di Bepi Tonello e sua moglie Teresa. Arrivato in Ecuador negli anni ’70, Bepi ha guidato per 41 anni il FEPP (Fondo Ecuatoriano Popolorum Progressio) e con la sua grande esperienza ci ha aiutato a guardare la complessa e, negli ultimi anni, sempre più drammatica realtà del paese dal punto di vista delle vittime della violenza e delle ingiustizie.
A bordo della nostra immaginaria DeLorean (macchina del tempo del film “Ritorno al futuro”) abbiamo fatto un tuffo nel passato di ciò che è stato, rivissuto questa parte di mondo nel presente così come e impostato il navigatore verso il futuro che chissà cosa ci riserverà…
Muchas gracias nuestro querido Ecuador, hasta pronto!
Samuele, Gianluca e Anna Pellichero