Lunedì 24 luglio 2023 – ore 19.00 nella Chiesa di San Giuseppe in Padova (piazzale S. Giuseppe 3)
Santa Messa in ricordo di p. Ezechiele Ramin presieduta da don Leopoldo Voltan, vicario episcopale per la Pastorale.
“Ciò che patisce la semente, lo patisce il seminatore”
Nel mese si ottobre 2019, dichiarato Messe Missionario Speciale, tra i 25 testimoni scelti come modelli di missionario, tra santi, come Francesco Saverio, Teresa di Lisieux, Francesco d’Assisi, veniva inserito anche il Servo di Dio, p. Ezechiele Ramin. Nello stesso mese si celebrava a Roma il Sinodo dei vescovi per l’Amazzonia, e 280 vescovi brasiliani aveva chiesto che fosse riconosciuto il martirio di p. Ezechiele, perché considerato figura di riferimento per i lavori sinodali. All’apertura del Sinodo, l’immagine di tanti, uomini e donne, che avevano dato la vita per l’Amazzonia e i suoi popoli, circondavano papa Francesco. Tra queste l’immagine di p. Ezechiele Ramin.
La vicenda umana, spirituale e missionaria di p. Ezechiele Ramin è facilmente percorribile attraverso alcune sue parole, dette o scritte.
Nell’ottobre del 1971, a diciotto anni, intervenendo in una celebrazione durante la Giornata missionaria mondiale, diceva: ‘Noi oggi, impegnati come uomini e come cristiani, dobbiamo amare, saperci sacrificare, calarci nelle altrui difficoltà, pagare di persona. A giugno abbiamo la spiga di grano, sappiate però che quella spiga è nata perché è morto il seme che l’ha generata’
Nel gennaio successivo, scrive ad un’amica: (…) Se mi vorrai seguire su questa strada, i tuoi occhi incontreranno molti sorrisi e lo sai perché? Perché portare il Cristo è portare la gioia. Io seguo la strada del missionario, ma questo non perché io abbia scelto Dio, ma perché Dio mi cerca e continuamente mi chiede se lo voglio seguire.
Io, Lele, credo a Cristo, non mi può ingannare! Credo alla sua giustizia anche se alle volte non la capisco, mi abbandono tra le sue braccia. Credo inoltre che le proprie convinzioni oggi si paghino con il dovuto; francamente mi sto accorgendo che la testimonianza cristiana si paga di persona. La fede in Cristo è difficile mantenerla di fronte a certe situazioni, ma se la conservi, ti dà una tale carica che ti aiuta ad essere sempre un vero uomo, capace di una dimensione umana. (…)
In questi testi comprendiamo la chiara coscienza che p. Ezechiele aveva della serietà e dell’esigenze della missione, e dell’evangelizzare con la vita, con il dono della vita, senza nessuna riserva.
È difficile per lui il percorso formativo e il riconoscimento della sua vocazione missionaria. Ma la scelta è chiara e definitiva. I primi anni di sacerdozio tra i terremotati dell’Irpinia, agli inizi degli anni ottanta, nella gestione degli aiuti, che dovevano arrivare a chi ne aveva bisogno e non a chi voleva lucrarci sopra. Nel breve periodo – ottobre 1983 – luglio 1985 – di presenza e impegno missionario, nell’Amazzonia brasiliana, nei suoi scritti spesso fa riferimento al seme e al seminatore.
Nell’agosto del 1984 scrive ad una religiosa: ‘Le spine finiranno per tessere una corona al Signore. Tanta deve essere la forza della Parola divina che senza tagliare le spine, nasce tra queste. La semente nasce tra pietre che riconosceranno il Signore nella sua potenza. Nulla impedirà alla Parola di poter nascere. Ma intanto sembrano aumentare le difficoltà per chi annuncia. Ciò che patisce la semente lo patisce il seminatore’
Nell’omelia durante una messa, nel febbraio del 1985, cinque mesi prima di essere ucciso, così si rivolgeva ai fedeli: ‘Amo molto tutti voi e amo la giustizia, e per la giustizia basta la volontà di ogni persona, basta la volontà come Chiesa, come Comunità; prima che la rivolta possa far sorgere imprevedibili brutalità nel nostro ambiente sociale. Non approviamo la violenza, malgrado riceviamo violenza. Il padre che vi sta parlando ha ricevuto minacce di morte. Caro fratello, se la mia vita ti appartiene, ti apparterrà pure la mia morte. In comunione con la Comunità ecclesiali di base, non approviamo nessun tipo di violenza
Dopo che Cristo è morto vittima di ingiustizia, ogni ingiustizia sfida il cristiano. Fratello, nelle difficoltà, credi che dopo l’inverno arriva la primavera! Fratello: fratello nella buona, fratello nella cattiva sorte. Ma fratello! Così dobbiamo imparare ad essere, non in altro modo.
La testimonianza missionaria di p. Ezechiele Ramin, trova spazio e diventa voce profetica nella Chiesa definita dal n° 1 della Lumen Gentium, Costituzione pastorale del Concilio Vaticano II, Intima unione della Chiesa con l’intera famiglia umana: ‘Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla Vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia’.
Questo giovane missionario che la Chiesa di Padova ha inviato, e che nel breve periodo della sua presenza in Brasile, si dona fino a versare il sangue, può essere un contributo al Sinodo diocesano di Padova?
Rileggo alcuni suoi scritti e ritorno a quel 24 luglio del 1985, giorno in cui il seminatore, soffre e muore, come muore il seme, Mi lascio interpellare dal n° 1 della Costituzione pastorale Lumen Gentium: ‘Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia’.
La presenza di p. Ezechiele nella vita della Chiesa di Padova, era stata annunciata. Racconta il fratello Antonio che alla notizia dell’assassinio del figlio, papà Ramin aveva visto lontano: «Alla sua prima parola “Perdoniamo”, ha aggiunto una frase indelebile per me: “Ezechiele parlerà più da morto che da vivo”», ricorda ancora Antonio. «Perché Ezechiele non è nostro, appartiene alla Chiesa, al popolo e alla sua memoria».
Qualche giorno dopo, Antonio Possamai, vescovo di Jì-Paranà, durante la celebrazione funebre, alla presenza numerosa e commossa del popolo, degli indios, dei posseiros, dei lavoratori rurali e di tutti i missionari che operano nella regione e davanti alla parola di perdono e di pace della famiglia di Lele, diceva: ‘Nessuno potrà tenere chiusa la porta del sepolcro. Hanno detto a Cristo “finalmente facciamo tacere in te la voce di un essere importuno”, ma nessuno ha potuto impedire la sua risurrezione. Nessuno potrà impedire la risurrezione che nascerà da questa morte. Nessuno fermerà il cammino di questo popolo. La morte è segno di vita. La risurrezione per chi crede è certezza.
Il Sinodo chiede una conversione missionaria che si concretizza in comunità, testimoni di fraternità, per essere veramente evangelizzatrice.
Questo il camino percorso da p. Ezechiele Ramin, che ha esperimentato che veramente che “ciò che patisce la semente, lo patisce il seminatore’”.
Gaetano Montresor / Missionari Comboniani – Padova