Già dieci anni?! Mi pare ieri quando la notizia ci ha raggiunto, mentre si era con il vescovo Antonio, e ci ha disorientati tutti, lasciandoci senza parole, incapaci di qualsiasi pensiero.
Ora, a tanto tempo, è sempre pericoloso per me andare a pescare nella memoria.
Chissà perché, ma mi scombussola sempre. Ma per Ruggero e il suo ricordo… affronto anche questo rischio.
I primi approcci con lui risalgono a più di 40 anni fa! Io ventenne entravo in Seminario (terra sconosciuta per noi allora vocazioni adulte) e l’ho trovato in secondo anno, più grande (lui del ’57, io del ’58).
Bel viso tondo, gioviale e solare, ma con un che di meditabondo, di distaccato, anche quando rideva e scherzava.
Era notoria la sua intelligenza “fuori quota”, in teologia; e uno dei pochi che sapeva stare all’altezza nelle discussioni con il rettore, e allora era don Mario Morellato!
Così in pratica abbiamo vissuto in parallelo per i 5 anni di seminario. Poi lui è uscito nell’82: la prima classe ordinata dal vescovo Filippo.
E la nomina scoop: subito suo segretario! Ha fatto scalpore: così giovane, appena prete!
Ma, d’altra parte, il vescovo Filippo era originale e acutissimo e Ruggero intelligente e profondo.
Per un po’ le nostre strade si sono separate: con la mia ordinazione l’anno successivo sono andato per quattro anni a Valdobbiadene. Lì ci siamo incrociati – ma ero semplice cappellano – durante la visita pastorale, mi sembra nel 1986: giorni intensi, dove lui era attento a tutto e mediatore tra le esigenze del vescovo e quelle della parrocchia.
Nell’87 il secondo scoop, anche se in tono molto minore: io ad affiancare don Ruggero nella segreteria del vescovo. Tutto mi sarei aspettato… non questo!
Nell’impatto con quella realtà più grande di me Ruggero è stato il fratello più grande, conoscitore unico del vescovo e del suo carattere, della curia e delle sue dinamiche, nella diocesi e di tutti i preti, ciascuno con la sua storia, e della miriade di altre persone che avevano contatto con il vescovo.
La cosa impressionante: la sua memoria! Ricordava tutto di tutti, a distanza di anni. Ricordava nei dettagli l’agenda del vescovo… degli ultimi 5 anni e più!
A febbraio è stato scoperto il grande male di Filippo, quello che l’ha accompagnato fino al 30 dicembre 1988, il suo ultimo giorno. In quel periodo siamo diventati fratelli “gemelli”: non c’erano più “primogeniture”, ma si era entrambi a tempo pieno per quell’uomo grande e insieme sempre più fragile e bisognoso. Non ci si è risparmiati, perché non ci si tira indietro di fronte a “papà” che sta male, qualsiasi cosa si debba fare.
Dopo alcuni mesi di “recupero psicofisico”, le nostre strade si sono ancora separate: io in AC e lui a Milano a studiare, poi il suo ritorno in diocesi, nei vari uffici, soprattutto quello missionario, infine il suo partire per il Brasile.
L’affetto, il legame non sono mai venuti meno, ma lo vedevo sempre più di rado e avevo una sottile e profonda percezione: «Ruggero non è contento, soddisfatto; sembra un’anima in pena, che non trova pace».
Così quella maledetta pallottola mi è sembrata arrivare a stroncare una vita che era ancora profondamente in ricerca; in ricerca di un posto, di un “dove” nel quale poter esprimere tutte le enormi potenzialità della sua persona, del suo spirito.
Lo penso ora meticoloso e preciso, ma anche libero, fantasioso, gioviale.
Con non pochi amici che ci hanno già preceduto, con i suoi mamma e papà che ho avuto il dono di conoscere e di amare, con il vescovo Filippo con il quale la sera, di ritorno da uno degli innumerevoli giri per la diocesi, ci si fermava in ufficio, in poltrona, con un bicchierino di whisky, a guardare un film western: la sua passione!
don Enrico Piccolo