Sono trascorsi dieci anni dalla morte di d. Ruggero e nel ricordarlo ancora con affetto, insieme ai nostri compagni di ordinazione e a tutta la Chiesa di Padova, mi soffermo a pensare a ciò che ancora oggi mi parla di questo “fratello”.
Di d. Ruggero mi rimane la sua umanità profonda, impastata di fede, che mi ricorda quanto sia impegnativa la nostra missione di preti: possiamo essere pietra d’angolo che sostiene o pietra d’inciampo che fa cadere.
Tutto ciò che è umano è anche di noi preti. Il Signore ci ha lasciato un cuore di carne che talora avvertiamo più sensibile, delicato, bisognoso di aiuto e abbiamo sempre necessità di qualcuno che ci senta, ci incoraggi, ci comprenda e, qualche volta, anche ci perdoni.
Ricordo ancora che il giorno della sua morte è arrivato come un fulmine a ciel sereno. La prima cosa a cui ho pensato è stato il dono che d. Ruggero ci aveva fatto qualche mese prima della sua morte. Era ritornato in Italia nel marzo del 2009 e prima di ripartire aveva voluto incontrarci tutti a Santa Rita. Quella sera, nel salutarci, volle lasciare a noi amici di ordinazione un regalo che aveva portato con sé dalla sua missione in Brasile: un calice di legno e una patena color amaranto. Quel dono lo porto sempre con me: è il segno del sacrificio di Gesù sulla croce. Ogni volta che celebro con quel calice penso al martirio di don Ruggero. E mi chiedo perchè mai d. Ruggero abbia voluto farci quel dono prima di ripartire… per l’ultima volta. Presagiva qualcosa? È un interrogativo che mi pongo ogni volta che, durante l’Eucaristia, sollevo quel calice.
E così, dal giorno della sua morte, il mio celebrare è impregnato anche di d. Ruggero, è un continuare a vivere il mio ministero anche in nome suo, per lui, custodendo l’esempio degli anni vissuti in seminario, la sua testimonianza di fede condivisa nelle comunità che incontrava e so, che insieme al nostro compagno d. Livio Destro, che lo ha raggiunto in cielo e che riposa nello stesso cimitero a Vigonovo, ci è accanto e continua ad incoraggiarci nel nostro ministero.
Con la sua giovialità e gentilezza, con il suo sorriso e la sua determinazione d. Ruggero mi ricorda che si può morire ogni giorno in tanti modi: attraverso la testimonianza di un profondo senso del dovere, la generosità nell’impegno, con una presenza costante e sincera là dove c’è qualcuno che ha bisogno di noi.
Di Ruggero non potrò mai dimenticare la sua sensibilità, accompagnata dalla viva coscienza che si può, anche nella Chiesa, tenere un ruolo per bravura e per autorità, oppure per umiltà, facendo sommessamente il meglio che si può per amore e in risposta ad una chiamata, ma sempre senza far conto dei “risultati umani” perché, prima di tutto, si confida nella forza che viene dal Signore e nella sua fedeltà che è per sempre.
Penso che la scelta di don Ruggero di partire per il Brasile sia stata dettata dal suo desiderio di sporcarsi le mani, di prendere parte al dolore dell’uomo, di gettarsi nelle difficoltà, là dove ogni giorno si lotta, si crea, si cade nel vortice stesso di questa nostra esistenza, ma sempre tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla nostra fede e la porta a compimento.
Possa il ricordo di questa morte e la memoria di don Ruggero farci sentire ancora più vivi nel Signore Risorto che ancora oggi si manifesta in tanti fratelli e sorelle bisognosi, in luoghi di missione che ci interpellano, in uno stile di vita fraterno e solidale a cui tutti aspiriamo e al quale siamo chiamati.
Grazie don Ruggero per essere ancora in mezzo a noi.
don Claudio Zuin