Già mi immaginavo atterrare in Tanzania, camminare tra i villaggi africani, incontrare tante persone, tanti bambini, tanti sorrisi, assaggiare nuovi sapori, conoscere una nuova realtà, stupirmi delle piccole cose. Mi sentivo in qualche modo già lì con la testa e con il cuore; mi ritornavano alla mente le emozioni e le esperienze vissute in Senegal l’estate precedente. Attendevo con trepidazione il giorno della partenza, certa che sarebbe stata un’esperienza significativa che mi avrebbe in un certo senso cambiata, o meglio, che avrebbe cambiato il mio modo condividere e di stare con gli altri.
La situazione attuale di distanziamento sociale e isolamento come precauzione della diffusione del COVID-19 solo ora sta vedendo uno spiraglio di luce dopo mesi di difficoltà, insicurezze, preoccupazioni e, soprattutto per alcune persone, tanta sofferenza. Inizialmente sembrava una situazione surreale, tanto repentino e drastico è stato il cambiamento della quotidianità di tutti gli uomini. Penso che tutti noi ci siamo dovuti scontrare con una nuova e strana realtà e “reinventarci”: riflettere, trovare nuovi modi per mantenere le relazioni, riscoprire il valore delle piccole cose e dedicarci più tempo; prima il tempo non ci bastava mai. E scoprire che, nonostante tutto, avevamo bisogno di fermarci, o almeno di rallentare.
Più passavano i giorni più pensavo che la possibilità di realizzare il viaggio scivolava sempre più in basso; pensavo a quali potessero essere le condizioni sanitarie dei paesi africani e a come il viaggio si trasformasse in una situazione di potenziale rischio sia per me sia per le persone del posto. L’incontro e la condivisione sarebbero state pressoché impossibili, o perlomeno sicuramente compromesse dalle disposizioni di sicurezza che si sarebbero dovute e che si dovranno adottare da qui ai prossimi mesi. Nonostante la mia più totale comprensione rispetto alla scelta di sospendere il viaggio, mi è rimasto tanto dispiacere… la voglia di partire era così grande!
Ora però penso a quanto questa situazione che il mondo intero sta affrontando abbia portato nella vita di tutti tante rinunce e tanta sofferenza; penso alle difficoltà economiche, alla malattia, alla perdita del lavoro o di un proprio caro. E quindi penso come forse il mio viaggio di missione può comunque concretizzarsi anche qui… Mi chiedo: “Come posso vivere un’esperienza di incontro e condivisione verso chi è stato profondamente toccato da questa emergenza, verso chi ha vissuto o sta vivendo situazioni difficili?”.
Cosa significa per me questo viaggio sospeso? Per me significa attesa, un’attesa che alimenta ancora di più il desiderio di partire. Mi ricorda l’attesa di Maria, un’attesa colma di fiducia in Dio. Mi piace pensare di essere trasportata dalle Sue mani in ogni momento della mia vita. Mi piace pensare che in ogni attesa io abbia la possibilità e l’opportunità di incontrare l’altro e custodirlo con amore. Forse è questa la mia missione in questo momento. Ho sempre tante domande, tanti desideri, ma la mia più grande speranza è che l’attesa e la fiducia non smettano mai di ardere nel mio cuore.
Alessia Z.
Durante tutto il percorso di “Viaggiare per Condividere” ci sono stati offerti degli spunti, delle testimonianze e diversi punti di vista sui viaggi missionari che avremmo dovuto intraprendere la prossima estate. Durante questi mesi mi sono divertita a fantasticarci su. Mi chiedevo: chissà cosa vedrò, quali profumi sentirò, quali difficoltà potrei affrontare, quali obiettivi vorrei raggiungere. Mi illuminavo pensando a quanto bagaglio culturale mi sarei portata a casa.
Quando mi sono resa conto che questo non sarebbe successo, lo ammetto, mi è rimasta tanta amarezza e delusione… questo perché ci tenevo davvero tanto e perché sono anche consapevole che il prossimo anno potrei non avere un’altra occasione.
Purtroppo, ora come ora, l’unica cosa da fare è accettare la realtà. Sto cercando di convertire questo periodo di stop in un tempo per ricaricare le pile per provare a ripartire più forte di prima, per maturare e responsabilizzarmi ancora di più. Penso che in fondo, noi tutti siamo stati chiamati alla missione ma non è tempo per noi di partire. È tempo per noi di attuarla qui, nel nostro territorio, per fare del bene a chi ci è vicino.
La Tanzania non scapperà, resterà sempre lì. E credo che, se un giorno riuscirò finalmente ad andarci, l’incontro sarà ancora più bello e ricco di emozioni. Mi piace pensare che questo “stand-by” tanto sofferto ora, porterà frutti ancora più preziosi in un futuro prossimo. O forse il Signore ha dei piani ancora diversi tutti da scoprire che ora non riesco nemmeno ad immaginare. In ogni caso, continuo ad avere fede, continuo ad essere speranzosa e soprattutto positiva.
Diana B.
Mi chiamo Alessandro e quest’anno ho partecipato al percorso Viaggiare per Condividere proposto dal Centro Missionario Diocesano. Se dovessi tornare con la mente all’estate scorsa per ripensare a quello che mi ha spinto ad intraprendere questa “avventura” devo riconoscere quanto, in questo tempo, le mie motivazioni iniziali siano cambiate, maturate e anche entrate in crisi. Questo percorso (nonostante ad un certo punto sia stato interrotto a causa dell’emergenza COVID) è riuscito a coinvolgermi a tal punto da rivoluzionarmi. Sì, rivoluzionarmi è la parola giusta! Almeno per quanto riguarda la visione del cosiddetto Terzo Mondo e l’idea di missione.
Durante questo cammino molti preconcetti che portavo dentro di me sono pian piano caduti perché i formatori, molto in gamba, preparati, ma soprattutto temprati dalle loro personali esperienze di missione, mi hanno trasmesso una nuova visione della realtà missionaria. Se devo essere sincero all’inizio non avevo un’idea precisa di quello che avrebbe potuto essere la missione, o meglio, credevo di non averla. In realtà, incontro dopo incontro, ho capito e accettato quanto in me fossero radicati profondi pregiudizi; profondi perché non ero stato tanto io a crearmeli, quanto la società a trasmettermeli.
L’idea di un’Africa vista come un drammatico luogo da salvare, dove solo gli occidentali più nobili d’animo e temerari affrontano ardue prove per salvare coloro che non hanno nemmeno una briciola di cibo, ha lasciato spazio ad un’immagine più nitida e realistica di un continente vivo, ricco di colori, sapori, volti, ma naturalmente anche di problematiche e contraddizioni. Il pensiero di andare in missione per aiutare qualcuno in estremo bisogno (e come in ogni esperienza di questo tipo, ricevere molto di quello che si dà), ha lasciato spazio alla speranza di essere un giorno accolto, nel cuore del Continente Nero, da un’umile e dignitosa famiglia che, come ogni famiglia degna di questo nome, è capace di donare la sua ospitalità ricca di dialogo, condivisione e confronto. In altre parole, nei primi mesi di questo percorso mi sono reso conto dell’importanza di andare in missione non tanto per fare qualcosa, ma per conoscere qualcosa e qualcuno, per poi tornare a casa arricchito.
Nonostante il percorso sia stato sospeso (purtroppo proprio appena avevo scelto con grande entusiasmo la meta!), la speranza di fare questa esperienza rimane viva. Grazie anche ai missionari che ci avrebbero accompagnati in Tanzania, i quali si sono prodigati per organizzare alcuni incontri via zoom, il sogno sta continuando anche in questo difficile periodo. Utilizzare al meglio questi mesi di lockdown per me significa anche informarmi ed interessarmi alla mia meta, a partire dagli spunti che mi vengono comunicati dai formatori. Solo così il “sogno sospeso” inizia pian piano a diventare realtà.
Alessandro D.